Storia di Viaggio: Regis

L'ospedale puzzava di morte.

"Hai bisogno di sangue, Regis."

"Ho bisogno di tempo."

"Moriranno comunque."

"Non per mano mia."

Bende svolte, macchiate di rosso e indurite dal gelo, scricchiolavano sotto le loro scarpe. Non c'era nessuno che le raccogliesse e le gettasse via, e nessuno a portare combustibile per alimentare il fuoco.

"Non capisco cosa ti spinga a comportarti così." C'era irritazione nel tono di Dettlaff.

"A prescindere da ciò, ti chiedo di rispettare la mia decisione."

"La tua testardaggine mette a rischio entrambi. Sei indebolito. Ci stai rallentando."

"Se trascuriamo le questioni etiche", proseguì Regis, "è stato il tuo comportamento, dovuto alla tua natura, ad averci condotti ai nostri problemi attuali. Abbiamo attirato l'attenzione. La scia di cadaveri dissanguati renderà soltanto più facile rintracciarci. Perciò... lascia che sia io a valutare il da farsi per un po'."

"Che cosa suggerisci?"

"Confondiamoci con la gente. Travestiamoci."

"Come umani? È... degradante." Dettlaff si sentì a disagio e sibilò di dolore nel toccare la ferita sotto il mantello.

"Si sta ulcerando", affermò Regis con perspicacia.

"Com'è possibile? Non riesco a chiuderla. E quando ho provato a trasformarmi, l'ho sentita aprirsi ancora di più. Non capisco. Era solo un umano..."

"No, non un semplice umano. Un witcher."

Dettlaff lanciò al compagno uno sguardo in cui la riluttanza combatteva disperatamente contro la curiosità.

"Sono mutanti addestrati a uccidere. Una gilda chiamata a proteggere questo mondo da visitatori provenienti dalle altre sfere." spiegò Regis.

"Da noi..."

"Certo, anche da noi. Nel corso dei secoli hanno accumulato una notevole conoscenza di coloro che considerano nemici. Conoscenza che hai avuto modo di sperimentare sulla tua stessa pelle.

Pertanto, suggerisco la massima cautela."

La mascella di Dettlaff si serrò, mentre ponderava le parole del compagno. "Faremo come dici tu", capitolò infine.

All'improvviso, i due udirono uno scricchiolio di bende. Lo sguardo dei vampiri si rivolse celere verso l'ingresso della tenda. Un'accolita di Melitele li salutò con un sorriso sfinito. "Ora sono a vostra disposizione, signori. Perdonate se vi ho fatto aspettare così a lungo, ma sono rimasta solo io. Le sorelle hanno seguito l'esercito a Vizima."

"Lasciando i feriti al freddo?" chiese Regis con stupore. "Qual è il motivo di tanta fretta? La guerra è finita. I nilfgaardiani sono stati sconfitti a Brenna."

L'adepta abbassò lo sguardo. "La corona era in ritardo con i salari. Di sei mesi. L'esercito minacciava di ribellarsi. I soldati hanno costretto il connestabile a condurli alla capitale per riscuotere i pagamenti. Io mi sono offerta di servire nell'infermeria. E un giuramento come il mio non vale solo quando c'è bel tempo e la pancia è piena."

"Questo ospedale è stato lasciato senza scorte sufficienti."

"Il connestabile ci ha gentilmente offerto la sua tenda personale. Questa. E ha promesso di inviare vettovaglie e medicine, pagate di tasca sua. Ci saranno anche delle libagioni per lor signori, sebbene limitate. Non volete mangiare qualcosa?"

"Grazie." Regis sorrise con le labbra serrate. "Non è necessario. Ma ditemi: avete per caso visto passare qualche viandante per bene? Oggigiorno, non è più sicuro avventurarsi da soli. Le strade sono battute da ogni sorta di loschi individui..."

"Stamattina sono passati di qui tre soldati. Avevano con loro un uomo ferito. Dicevano che era il loro comandante. Poi si sono diretti a ovest. Per fortuna, a lui ci hanno pensato loro. L'ennesimo poveretto salvato."

"Grazie."

Poco dopo, i due lasciarono l'ospedale improvvisato. La strada volgeva a ovest tra elmi artigliati.

"Nessuno accorrerà per loro", disse Dettlaff. "Verranno dimenticati. Conosco gli umani. Hanno la memoria corta."

"La ragazza è rimasta", replicò Regis.

Sopra le loro teste, i corvi volavano in cerchio intorno alla tenda.

La neve aveva smesso di cadere.

Erskine si strofinò gli occhi e fissò davanti a sé i campi di Sodden che andavano scomparendo nel crepuscolo. Decise che era un buon momento per fermarsi. Fece cenno ai suoi due compagni di lasciare la strada e svoltare in un vicino avvallamento.

Néris si levò lo zaino ed estrasse coperte e provviste. Osyan accese un fuoco. Erskine lasciò andare la corda della slitta, si sedette e cominciò a massaggiarsi le mani.

"Un attimo che ti aiuto", disse.

Néris guardò l'uomo sdraiato sulla slitta. "Farai meglio a riposarti, finché puoi."

"Maledetto sergente", disse Osyan, alitandosi sulle dita. "Che bisogno aveva di mangiare così tanto? Se fosse stato più leggero, avremmo già attraversato l'Ina."

"Bella fortuna", disse Néris.

Erskine si chinò sul sergente bendato e ascoltò i suoi flebili respiri. "Ormai siamo in questa situazione insieme", disse. "Il primo turno di guardia lo faccio io."


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Il vino rubato sapeva di zenzero. Erskine fece una smorfia, si avvolse la coperta intorno alle spalle e guardò i suoi compagni addormentati. Osyan poteva tranquillamente essere suo figlio. Si era arruolato nell'esercito temeriano appena prima dell'invasione delle orde nere. Avevano combattuto insieme per Dillingen al comando di Jan Natalis, poi con Re Foltest quando liberarono Sodden. Néris, condottiera della Compagnia Libera, affermava di essere la figlia di un barone lyriano. Erskine era sicuro che mentisse, poiché, se fosse stato vero, non sarebbe di certo finita lì, mezza assiderata in quel folle viaggio.

Ah, il bello del viaggio. Erskine sospirò e sorseggiò del vino. Tutto era cominciato con il sergente e quella sua storia su un forziere che avrebbe dovuto trovarsi in un seminterrato pieno di macerie. Poi era arrivata la decisione che avevano preso tutti insieme, la strada da cui non vi era ritorno.

Il tepore del fuoco invitò Erskine a dormire. Sbadigliò, si alzò in piedi e diede un colpetto a Néris con la punta dello stivale. "Tocca a te", disse mentre le porgeva la bottiglia. Néris si sfregò gli occhi, diede un sorso e sputò sulle fiamme. Erskine fece per dire qualcosa sullo zenzero, ma si fermò quando si accorse che la condottiera stava scrutando nell'oscurità alle di lui spalle.

"Non avete niente da temere", disse una voce proveniente dall'ombra che circondava l'accampamento.

L'attimo seguente, due sconosciuti si manifestarono nello spazio illuminato dal fuoco. "Siamo disarmati", disse quello dai capelli grigi. Quello della voce appena sentita.

"Siamo diretti a Dillingen. Tempi duri come questi è meglio trascorrerli in compagnia del prossimo, non credete? Soprattutto se la meta è la stessa."

"E tu come lo sai?" chiese Osyan, che se ne stava accovacciato con il pugnale già estratto dietro la schiena.

"Non abbiamo bisogno di compagni", disse Néris.

Erskine era rimasto in silenzio. Stava valutando la situazione. I nuovi arrivati non parevano minacciosi. Innanzitutto, sembravano effettivamente disarmati. Poi, avevano un aspetto emaciato. O, se non altro, erano molto debilitati. Quello con la chioma grigia era pallido come la luna e parlava con voce sommessa. L'altro, dai capelli neri e silenzioso, incedeva a fatica e si premeva la mano contro il fianco. Una ferita fresca?

Il grigio annuì in direzione della slitta. "Quest'uomo non durerà una settimana", commentò. "Fortunatamente, sono un medico. Ho un posto sicuro a Dillingen. Se ci sbrighiamo, forse faccio ancora in tempo ad aiutarlo."

Il vento soffiò tra i rami, ravvivando il fuoco in procinto di spegnersi.

Erskine capì che Néris e Osyan aspettavano un suo cenno. Valutò la situazione. Se il sergente fosse morto prima di giungere a destinazione, sarebbe stato tutto inutile. Un segaossa, in effetti, avrebbe potuto far comodo...

Rilassò la presa sull'elsa della spada, emise un grugnito e annuì. "Come vi chiamate?"


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All'alba, erano pronti a partire. Erskine pestò i resti del falò con il piede mentre osservava i nuovi compagni. Il grigio, Regis, non mentiva. Sebbene egli stesso riuscisse a tenersi in piedi a malapena, sostituì con perizia i bendaggi del sergente e preparò una compressa di garza per le sue ferite. Con grande sorpresa, l'altro, Dettlaff, si offrì di tirare la slitta.

E così procedettero. Dopo qualche passo, Dettlaff si fermò in preda ai dolori. Regis lo sostenne con un braccio. Erskine si sistemò lo zaino e li raggiunse.

"Sembri messo piuttosto male", commentò. "Chi ti ha fatto questo?" I nuovi arrivati non risposero. Dettlaff lanciò un'occhiata alla strada alle sue spalle, come se si aspettasse di vedere qualcuno che li seguiva. Erskine non insistette per avere una risposta. Per qualche motivo, era sicuro di non volerlo sapere più.

"Un abominio ha fatto la tana nel nostro campanile, mastro witcher. Di notte, vola sulla città, rapisce le persone per la strada e le porta nel suo rifugio per divorarle. Che orrore! Quanto ci costerà disfarci di questa piaga?"

"Duecento oren, signor consigliere. Si tratta di un vampiro. E non di uno qualsiasi."

Il consigliere rimase colpito. "Quindi, avreste già dedotto la natura della creatura?"

"Ho esaminato un cadavere."

Sorensen non ritenne opportuno spiegare che stava seguendo la bestia da molto tempo, per ordine di qualcuno di molto più importante. E che era finito nel borgo di Warfurt sulle tracce della preda. Pensò che, se qualcuno era incline a pagare il doppio, non avrebbe avuto senso scoraggiare tale predisposizione.

Il consigliere ponderò. Scosse il capo. "È un prezzo troppo alto."

"Allora provateci da soli."

"Lo abbiamo già fatto, ovviamente. Ci hanno pensato i baldi giovani della guardia del castello. Ma le nostre lame e questo demonio non vanno d'accordo. Volevamo dare fuoco al campanile per scacciare quel bastardo, ma..."

"Non è giusto!" Il reverendo patriarca, che fino a quel momento aveva guardato dalla vetrata del tempio verso l'oscuro pilastro del campanile, si alzò con voce tonante. "Non si può dare fuoco a un luogo sacro! Quel campanile è costato tremila oren alle casse del capitolo! E di certo non lo ridurremo in cenere!"

"Non vi fate alcun problema", lo redarguì irritato il consigliere, "a gridare in questo modo così vicino alla bestia?"

"I salmi, qui, ci proteggono", replicò rabbioso il sacerdote. "Finché i canti continuano, la stregoneria non ha potere alcuno."

Il coro, radunato nella navata, continuava a cantare. La litania si diffondeva tra i nobili muri del tempio come fosse incenso. La cosa, tornando alla conversazione, fece riflettere Sorensen. "Reverendo Padre", disse al sacerdote inchinando il capo, "fede e salmi sacri sono certamente il metodo migliore contro un vampiro. Potrei eventualmente prendere in prestito i vostri coristi? La preghiera confonderà i sensi del mostro e lo priverà del suo potere. Così potrei avvicinarmi e infliggergli il colpo di grazia."

Il prelato si gonfiò come un tacchino e guardò il consigliere. "Certo, figliolo. Certo."


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L'esca funzionò alla perfezione. Il salmo si trasformò in urla di terrore quando il vampiro piombò dal cielo nero in mezzo ai coristi. Un teschio senza occhi, ali di pipistrello, vene pulsanti di sangue sotto la pelle viscida. La tribù di Gharasham.

Il mostro afferrò il corista più vicino e affondò le zanne nelle sue carni. Ne inchiodò un altro a terra con un piede affusolato e artigliato.

L'euforia che li pervade quando si nutrono annebbia i loro sensi. Li rende letargici. È questo il momento migliore per attaccare. Sorensen sbucò da dietro un gargoyle di pietra, caricando il colpo come un discobolo. La catena sibilò nell'aria. La serie di anelli cinse gli arti della creatura e la pelle cominciò a sfrigolare contro l'argento. Il membro dei Gharasham cadde, rotolò giù dal tetto del tempio e si schiantò sulla strada di ciottoli sottostante, portandosi dietro una cascata di tegole. Il witcher lo inseguì per i vicoli. Era il momento di finire il lavoro. Sguainò la spada d'argento e tirò un fendente al collo della creatura che lottava per liberarsi.

Il vampiro si dissolse in una pozza di sangue. La lama risuonò contro la pietra e la catena si allentò. Liberatosi dai vincoli, il vampiro tornò nella sua forma di carne, batté le ali e prese il volo con guaiti penetranti. Sorensen si scansò dalla traiettoria della carica furiosa, eseguì una capriola e si inginocchiò. Con un rumore meccanico, estrasse la balestra. Prese la mira. E scoccò. Il vampiro, stordito, incespicò a mezz'aria, si levò faticosamente nel cielo e andò a schiantarsi contro il campanile con un tonfo fragoroso.

Il cacciatore seguì la preda. Afferrò la fune del montacarichi lasciata dai muratori e tagliò il contrappeso con la spada. Lo slancio dei mattoni in caduta lo proiettò in cima in un istante.

Da lì, vide la sagoma di un pipistrello stagliarsi contro la luna mentre fuggiva verso ovest. Il witcher imprecò violentemente.

Il vento portava l'odore di spezie e carne essiccata. Regis si fermò. "C'è altra gente qui attorno."

Dettlaff annuì silenziosamente.

Erano tre giorni che costeggiavano lo Yaruga. I loro compagni umani, ancora guardinghi nei loro confronti, tendevano a evitarli e parlavano poco. I vampiri li seguivano a qualche passo di distanza.

"Ci hai trovato una compagnia interessante", disse Dettlaff. "La sacerdotessa aveva detto che erano soldati. Invece puzzano di paura e menzogne."

"Sono disertori."

"E tu come lo sai?"

"È solo una supposizione. Guarda l'uomo ferito... Non ha più le mostrine sulla giacca."

"Quindi, stiamo provando a mischiarci agli umani unendoci a una banda di miseri fuggiaschi. Perfetto."

"Giudicare ti viene così facile. Perdona il cliché, ma vivere tra gli umani ne insegna uno in particolare: niente è facile. Non sappiamo chi sono o perché stanno fuggendo. E da chi. Di loro non sappiamo niente."

Si fermarono al richiamo di Osyan. Stava facendo loro un cenno, indicando una vicina fattoria. Un piccolo insediamento ai margini della foresta. Accanto alla staccionata c'era un carro malridotto, e dalle stalle giungevano i nitriti dei cavalli. Il fumo del camino e la promessa di un focolare caldo li chiamava. I vampiri osservarono i loro nuovi compagni mentre prima si consultavano e poi lasciavano la strada per dirigersi verso l'abitazione.

"È vero, di loro non sappiamo niente", concesse Dettlaff. "Ma scommetto che tra poco non sarà più così."


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Il contadino tornò con un barilotto. Lo posò sul tavolo e cominciò a riempire le tazze di creta. Il profumo della birra iniziò a spandersi dolcemente per la stanza. "Perdonatemi, ma non capisco", disse l'uomo.

Erskine deglutì e si pulì la schiuma dai baffi. Tamburellò con le dita sul centrotavola decorato con i gigli. "Beh, insomma, ve l'ho già spiegato. Siamo dell'esercito temeriano e ci hanno assegnato una missione in incognito. Il nostro incarico è portare questo... prigioniero... che era stato rapito dai nilfgaardiani. Dobbiamo farlo arrivare oltre l'Ina il prima possibile. Ecco perché ci serve il vostro carro."

"E i due cavalli", ricordò Osyan.

Néris era in piedi vicino alla porta, appoggiata al muro. In mano aveva la spada. Con la punta, scavava tra due assi del pavimento. "E il contenuto della dispensa", aggiunse lei.

"Non è giusto. Come potremmo sopravvivere senza un carro, d'inverno, in un luogo remoto come questo?"

"Potremmo?" chiese Osyan. "Chi altro vive qui?"

Il contadino guardò il pavimento. Osyan sputò, estrasse un pugnale e lo mise sul tavolo. Il fuoco della stufa tremolava sul piatto della lama.

"Abbiate pietà, brava gente..."

"Non siamo brava gente. E sarebbe un vero peccato se tu dovessi scoprirlo a tue spese..."

"Osyan..." cercò d'intervenire Néris.

"Zitta, tu. La scelta è sua."

Dettlaff, che fino a quel momento era rimasto tra le ombre, si avvicinò e lanciò una bisaccia sul tavolo. Rumore di monete. "Fate un po' come volete", disse. "Esco a fare due passi."

Dopo che Dettlaff ebbe sbattuto la porta, Regis fece scivolare la bisaccia verso il contadino. "I miei compagni sono soldati, non ladri", disse guardando Osyan negli occhi. "Hanno soltanto bisogno di una giumenta che tiri la loro slitta. E per questa giumenta sarete... adeguatamente ricompensato."

Erskine spalancò la bocca come a cercare qualcosa da dire.

Il vampiro sorrise a labbra serrate. "I soldati temeriani sanno bene che non devono privarvi dei vostri averi", disse. "Se lo facessero, le notizie sulla loro missione in incognito potrebbero giungere alle orecchie sbagliate. E questo... beh... li metterebbe in grave pericolo."


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Aine sentiva dei rami che scricchiolavano sotto i suoi stivali.

Scostò la neve, raccolse la legna e la mise nella cesta. Ne aveva raccolta abbastanza, perciò decise di tornare a casa.

Camminava svelta, canticchiando la sua ballata preferita. Giunta al margine della foresta, lasciò cadere la cesta e indietreggiò bruscamente. Attese dietro un albero per un lungo istante, poi si sporse lentamente per vedere meglio.

C'erano degli estranei nei pressi della capanna. Una donna tirava Ludka per le redini. La cavalla sbuffava e scalciava irrequieta. Due uomini sbucarono dalla dispensa, portandosi dietro sacchi e botti. Il quarto, il più vecchio, stava parlando con suo padre.

Poi Aine percepì qualcun altro. Qualcuno di più vicino.

"È meglio se aspetti qui", disse una voce alle sue spalle. Profonda, ipnotica.

"Ma mio padre..."

Lo straniero le mise una mano sulla spalla. Fredda e pallida. Macchie di sangue sul palmo. "Starà bene. Presto se ne andranno. Guarda. Guardalo bene... Questo vostro mondo, dove niente è semplice."

"Non... non capisco."

"Non importa."

La giovane rimase in silenzio. Vide l'uomo dai capelli grigi prendere qualcosa dalla sua bisaccia e porgerlo a suo padre. Il luccichio dell'oro.

"Prenderanno solo Ludka?" chiese Aine dopo un momento.

"Sì. Il mio amico ha il dono della persuasione."

"Bene."

"Bene? Siete stati fortunati. Gli altri volevano derubarvi."

Aine si voltò e guardò lo straniero negli occhi. "Ma qualcuno ci stava proteggendo."

Il fiume Ina scintillava sotto gli ultimi raggi del sole al tramonto.

Le fortezze di Vidort e Carcano svettavano sull'acqua. Bruciate durante la guerra, ora venivano lentamente ricostruite dall'esercito temeriano.

Osyan indicò agli altri verso nord.

"Guardate", disse. "Il ghiaccio collega le due sponde. Passeremo da lì."

Erskine sbuffò tra le dita. "Non mi piace", disse. "In certi punti la crosta è sottile e piena di buchi, e i forti sono troppo vicini. Faremmo meglio a provare dalla biforcazione tra l'Ina e il Trava. Lì dovrebbe esserci un guado meno in vista. Sarà più conveniente, e più sicuro per il sergente."

"Riguardo al vostro compagno..." disse Regis. "Se tenete a lui, vi suggerisco di procedere velocemente. La cosa migliore da fare sarebbe chiedere aiuto al forte di Carcano. È molto probabile che abbiano scorte mediche in quantità. Ma immagino che questo approccio non sia di vostro gradimento."

"Già, non è di nostro gradimento", confermò Erskine. "Mi hai tolto le parole di bocca."

Dettlaff sorrise. "Perché fate così, soldati temeriani?" chiese loro. "Perché rifiutare aiuto da parte dei vostri compagni d'armi?"

"Ascoltami bene, signor sotuttoio", disse Osyan. "Vi abbiamo chiesto chi siete? Da dove venite? O chi vi ha ridotti così male da sembrare due cadaveri ambulanti?"

Dettlaff restò in silenzio.

"Allora andiamo a Fen Carn", disse Regis. "Avevo una casa di villeggiatura, laggiù. Forse è rimasta qualche scorta."

"Ti ha dato di volta il cervello, segaossa?" chiese Erskine. "Non ci spingeremo certo nel territorio dei maledetti elfi. Sostieni che dovremmo pensare al bene del nostro sergente? Beh, allora attraverseremo l'Ina. Qui. E poi raggiungeremo in fretta Dillingen."


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Cominciarono l'attraversamento sotto un cielo di nubi nere. L'unica cosa a turbare il silenzio circostante era il crepitio del ghiaccio.

Proprio quando sembrava che sarebbero passati inosservati, un tonfo risuonò dietro di loro.

Osyan imprecò. "Tre a cavallo. Pattuglia armata."

I temeriani li videro subito. Uno spronò il cavallo al galoppo verso la fortezza, gli altri due si mossero al trotto verso la riva. Arrivati sulla sponda, smontarono da cavallo, sguainarono le spade e si misero a correre sul ghiaccio. "Alt!" gridavano. "Alt!"

La giumenta che tirava la slitta nitrì e obbedì subito.

"Muoviti, bestiaccia!" sbraitò Erskine agitando le redini. Ma la cavalla non ne voleva sapere. Un attimo dopo, i temeriani gli furono addosso, così vicini da vederli in volto.

Regis guardò Dettlaff. "Proviamo a negoziare."

Osyan sputò e caricò la frombola.

Il proiettile sibilò e colpì l'elmo di uno dei soldati. L'uomo gemette e cadde sul ghiaccio. Il secondo balzò su Néris, che era la più vicina. Si azzuffarono, persero l'equilibrio e caddero in un buco lì vicino.

"Néris!" Erskine lasciò le redini e si precipitò verso di lei.

Osyan lo afferrò per il braccio. "Lasciala!" gridò. "Dobbiamo scappare!"

Regis, di scappare, ne aveva abbastanza. Saltò nelle acque torbide e individuò il condottiero, che stava lottando con la temeriana mentre affondavano, con l'armatura di quest'ultima che li trascinava sul fondo. Néris scalciava, senza quasi più fiato in corpo. Regis si immerse, li afferrò e cercò di sollevarli, ma non aveva fatto i conti con il suo corpo, che si era rigenerato da troppo poco tempo. Quando diede uno strattone, sentì la spalla uscire dalla propria sede. Digrignò i denti. E ci riprovò. Le ossa si spezzarono e il dolore esplose, spingendolo sull'orlo del collasso.

Poi, Dettlaff si tuffò a sua volta in acqua.

Spinse da parte Regis, afferrò il condottiero con una mano e la soldatessa temeriana con l'altra. Li separò e risalì rapidamente in superficie.


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Quando finalmente raggiunsero la riva di ghiaia dell'Ina, Erskine e Osyan se l'erano già battuta. Un allarme risuonò dai forti lungo il fiume. Regis provò ad aiutare Néris a rimanere in piedi, ma lei lo respinse e si avviò il più velocemente possibile verso la foresta. La seguì in tutta fretta, voltandosi solo per vedere di sfuggita Dettlaff che trascinava via il soldato prima che il margine degli alberi li occultasse.

I due fuggiaschi corsero a lungo attraverso la foresta. Poi, sfiniti, attraversarono a passo lento le collinette di Fen Carn. Néris aveva sentito parlare dell'oscura fama del luogo, ma era troppo stanca per protestare.

Alla fine, giunsero a una capanna molto modesta. All'interno, vi era un tavolo fiancheggiato da bottiglie ed erbe essiccate alle pareti. L'odore le bruciava le narici.

Regis recuperò dei vestiti asciutti in mezzo al disordine e, mentre lei si cambiava, cercò qualcosa tra le bottiglie sul tavolo.

"Questo è il vostro rifugio?" chiese lei.

"Il mio", disse lui mentre si massaggiava la spalla dolorante. "Eccola qua."

Si diressero all'esterno e si sedettero attorno al fuoco. Regis ravvivò le fiamme. Levò polvere e ragnatele dalla fiaschetta, la stappò e la porse a Néris.

La giovane bevve. L'alcol le bruciò la gola, e il calore divampò nel suo stomaco.

"Per gli dei... Ma che cos'è?"

"Tintura di mandragora."

"Ne vuoi anche tu?"

"No, grazie. Sono astemio."

"Un distillatore astemio che si lancia senza esitazione in aiuto di perfetti sconosciuti incurante della propria incolumità. Sei una figura misteriosa, Regis."

"Beh... Una volta incontrai un nano che si definiva un incorreggibile altruista. A quanto pare, siamo due anime affini."

Sedettero in silenzio. Néris fissò a lungo le ombre che sfarfallavano nella neve alle spalle di Regis. C'era qualcosa che non quadrava. Alla fine, capì. Si irrigidì e parlò a fatica. "Tu non proietti... Sei un..."

"Sì. Lo sono."

Si scostò bruscamente, coprendosi il collo con una mano.

Regis gettò altri legnetti nel falò. "Tranquilla. Ti ho detto che sono astemio. E poi, se avessi voluto nuocerti, ti avrei lasciata annegare."

"E Dettlaff?"

"Anche lui. Ma è meglio se lo tieni per te."

Il fuoco scoppiettò. Come se fosse stato evocato, Dettlaff sbucò dalle ombre e si sedette tra loro.

"Il temeriano ce la farà", disse. "L'ho portato fino alle mura, affinché potessero vederlo".

Néris era tutta un tremito. Nella sua testa turbinavano mille pensieri. I vestiti di Regis le irritavano la pelle e i suoi pantaloni sovradimensionati le scivolavano dai fianchi. Li tirò su e strinse la cintura il più possibile.

"Che cos'hai?" chiese Dettlaff.

Lei tentennò, ma solo per un attimo. Poi si decise.

Ingurgitò la tintura e sorrise.

"Niente", disse. "È tutto a posto."

Il consigliere corse su per la torre a perdifiato. Lo avevano avvertito di cosa avrebbe trovato, così si preparò un fazzoletto profumato che si premette contro il naso. Sorensen stava già esaminando la scena. Cadaveri in vari stadi di decomposizione riempivano il nido del vampiro, ma il fetore pungente non sembrava disturbare il witcher.

"I soldi sono vicini al cavallo, mastro witcher. Il patriarca vi esorta a lasciare la città il prima possibile."

Il cacciatore fece spallucce. Misurò con la mano la distanza tra le ferite inflitte dalle zanne. "Curioso. I segni indicano due tipi diversi di morso. Questo membro dei Gharasham portava qui le vittime e spezzava loro la spina dorsale in modo che non potessero difendersi. Come un uccello che mastica il cibo per i suoi piccoli."

Il consigliere si accigliò. "E quindi?"

"Quindi... stava nutrendo qualcuno."


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"Sabrina."

Niente ancora. Lo xenovox funzionava a fatica nel freddo. A Sorensen stava venendo voglia di lanciare la scatola parlante nel fiume e chiuderla lì. Peccato che aveva bisogno di una risposta. Dal momento che la curiosità superava la sua irritazione, riprovò.

"Sabrina, stupida derelitta!"

"Sorensen, tesoro. Ma come siamo gentili..." rispose il congegno con voce metallica. Il cavallo ansioso drizzò le orecchie e rallentò al trotto. Il witcher lo spronò.

"Mi hai mentito."

"Ah sì?"

"I vampiri sono due. Ti costerà il doppio."

"Ed è per questo che vieni a disturbarmi? Per contrattare?"

"Voglio conoscere l'identità del tuo fuggiasco. E le circostanze della fuga."

"Niente domande. Non era questo il nostro accordo?"

"I rischi sono aumentati. Devo sapere con chi ho a che fare. Altrimenti, me ne torno nell'Angren."

Cadde il silenzio. Per un attimo, Sorensen sospettò che lo xenovox si stesse nuovamente rifiutando di collaborare.

"A me e a due altre maghe venne affidato l'incarico di radere al suolo il castello di Stygga, la sede del mago rinnegato Vilgefortz di Roggeveen. Trovammo i resti di questa creatura uccisa da un incantesimo. Provammo a rigenerarla. E ci riuscimmo."

"Avete resuscitato un vampiro? Perché?"

"Per interrogarlo. Poteva avere informazioni importanti. Il castello di Stygga è stato testimone di eventi epocali che ancora non comprendiamo appieno."

"Immagino si sia rivelato un interlocutore affascinante."

"Non proprio. Tra gli umani, si presentava come Emiel Regis. Tutto fa supporre che si tratti di una creatura antica e sofisticata. Tuttavia, al suo risveglio, ha agito come spinto da una fame cieca. Prima che potessi interrogarlo più a fondo, era fuggito. A quanto pare l'avevo sottovalutato."

"Oppure... era aiutato da qualcuno. Come dicevo: i vampiri sono due. Viaggiano insieme."

"Ti stai tirando indietro? O stai ancora contrattando?"

Sorensen la ignorò. Dietro la curva apparve una squallida casupola. Tirò le redini e vi diresse il suo cavallo.

"Devo andare. Ho del lavoro da sbrigare."

"Bravo."


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"Predoni temeriani. Comuni ladri. Volevano derubarci. Quello dai capelli grigi li ha fermati. Li ha fatti ragionare. Senza neppure alzare la voce. Impedendo agli altri di svuotarci la dispensa. E ci ha perfino pagato per la cavalla."

"In oro..." si lasciò sfuggire Aine abbassando lo sguardo. Le parole le uscirono di bocca senza pensarci.

Il witcher si sfregò la cicatrice che aveva sul collo. "Fatemi vedere."

Il contadino guardò la figlia. Il nuovo arrivato aveva abbastanza armi sul suo cavallo da rifornire un reggimento. E quegli occhi da serpente... o da lucertola. Non aveva senso mettersi a discutere. Pertanto, il contadino si tolse lo zoccolo, aprì la suola con un coltello e tirò fuori una moneta.

Un leone alato dalla testa umana, impressa in oro annerito. Sull'altra faccia, una biga. Sorensen aveva già visto monete simili. Sulle colline di Dur Lugal Iddin. Un ghigno lupino si dipinse sul suo volto. Ormai si era rassegnato di aver perduto irrimediabilmente la pista.

"Questa moneta ha più di tre secoli. Oggigiorno, si trova soprattutto nelle tombe. Siete fortunato, messere. Non nutrivano alcun interesse per voi."

"Profanatori di cimiteri, giusto? Razziatori tombali?"

Sorensen aggiustò il sottopancia, infilò il piede nella staffa e montò in sella. "Peggio. Sto parlando di qualcuno che c'era già a quei tempi."

Il contadino guardò il suo oro dipartire. Deglutì a fatica, sospirò, poi andò a calmare la figlia, che si era chiusa nella legnaia. Non ebbe il cuore di prendersela con lei.

Néris si fece scudo con la mano sugli occhi per il vento e raggiunse Regis.

"Hai detto di avere un rifugio a Dillingen. È là che state andando?"

"Sì."

"Per cosa?"

"Per nasconderci. Un witcher ci sta seguendo. Un cacciatore di mostri."

Erano passati due giorni da quando avevano lasciato Fen Carn ed erano tornati allo Yaruga. Il cielo si stava finalmente schiarendo e le pianure innevate scintillavano al sole del tramonto.

"Un witcher? Per quanto ne so io, per esseri come voi, anche cinque di loro non dovrebbero rappresentare un problema."

Dettlaff si sbottonò il cappotto, esponendo il fianco.

"Guarda."

Néris sibilò alla vista dell'orrendo squarcio.

"Mi ha attaccato a Warfurt tre settimane fa. Sarebbe dovuto guarire in una notte."

"Sembra proprio che la caccia al vampiro sia la sua specialità", constatò Regis. "Dobbiamo fare molta attenzione."

"Allora sarebbe meglio restare a Fen Carn. Sfruttarne la reputazione come nascondiglio..."

"Superstizione e un mucchio di pietre non bastano", disse Dettlaff. "Ma ci sono posti che sono stati creati per darci un rifugio sicuro."

Néris fece scrocchiare le dita.

"Devo chiedervi aiuto. Da qualche parte, vicino a Dillingen..."

Si interruppe al suono di voci. Regis indicò un accampamento tra gli alberi appassiti. Un paio di tende con buchi e fumo prodotto dai falò accesi all'interno.

"Ne parleremo dopo", disse.


---


"Ci hanno cacciati dalle nostre case alla fine della guerra e sono ancora seduti lì. Soldati. Che brucino all'inferno."

Con la faccia di pietra, fissarono il campo di esuli alle spalle della donna mentre raccontava la sua storia.

"Hanno addobbato il nostro villaggio con i loro stendardi, lo stanno trattando come un avamposto militare. Ho detto loro: questa qui è casa mia, e lì, sull'acqua, c'è la barca con cui mio padre e mio nonno erano soliti navigare sullo Yaruga. Ma a loro non è importato nulla. Così ho preso in braccio mio figlio e li ho implorati. È inverno, ho detto. Fa freddo. Abbiamo fame. Li ho implorati di lasciarci almeno una capanna, di comportarsi come esseri umani."

"Non è servito a niente", indovinò Dettlaff.

Un bambino fece capolino da dietro la donna. Occhi speranzosi su un volto scarno e affamato. La donna gli spostò i capelli dalla fronte, poi gli aggiustò il cappuccio.

"Davano degli intrusi ai nilfgaardiani", disse. "Maledetti invasori. Ma ora che il conflitto con le corazze nere è finito, il paese dovrebbe essere liberato. E invece non possiamo tornare alle nostre capanne. A me pare che siamo noi ad aver perso."

Regis serrò i denti.

"Aspettate fino a domani. All'alba, potrete tornare alle vostre case."

"Ma i militari... Ci abbiamo già provato."

"Sì. Ora voglio provarci io."


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Era il tramonto quando raggiunsero l'insediamento. C'erano cinque capanne con i tetti mezzi sfondati dalla neve, un molo solitario, gli alberi oscillanti dei pescherecci. Risate e grida di gioia provenivano dalla capanna più grande.

Regis si tolse la borsa dalla spalla e la porse a Dettlaff.

"Aspetta qui", disse.

Regis mise piede all'interno spingendo la porta, che si aprì con un cigolio. L'aria stagnante era densa di fumo di pipa. I soldati al tavolo tacquero.

"Chi sei?" chiese un uomo barbuto con una cicatrice sulla tempia.

"Mi chiamo Emiel Regis. Sto andando a Dillingen."

"Il soldato si sporse in avanti, appoggiando il mento ispido su un pugno grassoccio.

"E ci vai da solo? Sei coraggioso."

"O stupido", aggiunse un altro soldato.

"Già, o stupido", disse l'uomo barbuto. "Ti sei perso, Emiel Regis. Ma per tua fortuna, c'è una strada che conduce oltre le colline. Da lì in poi, basta che prosegui diritto."

"Lo so."

"E allora che ci fai qui?"

"Ho incontrato della gente che avete cacciato di casa. Perfino i bambini sono stati privati di un tetto."

Regis chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò al tavolo. Dita esitanti si facevano strada verso l'elsa delle spade.

"Erano gli ordini", disse l'uomo barbuto.

Regis lo guardò negli occhi e alzò la mano. Le bottiglie sul tavolo tremarono.

"Gli ordini sono cambiati", disse con voce rauca. "Questo posto non vi appartiene. Partirete subito alla volta di Vidort. Dimenticherete il nostro incontro e il motivo per cui eravate qui."

I lineamenti dell'uomo barbuto si rilassarono e il suo viso perse ogni espressione.

"Sì, mio signore", sussurrò.

Quando l'ultimo dei soldati lasciò la casupola, Regis sentì gli occhi annebbiarsi. Provò ad avvicinarsi alla panca, ma le gambe non obbedivano. Cadde a terra, battendo la testa contro la sedia.

Mentre l'oscurità lo avvolgeva, ricordò l'inizio del loro viaggio. Un ospedale nelle lande desolate, i gemiti accennati dei moribondi. L'odore della morte.

Moriranno comunque.

Non per mano mia.

Dettlaff è in piedi accanto a lui, le sue mani bagnate di rosso.

Hai bisogno di sangue, Regis.

"Dove sono i soldi, figlio di puttana? Parla!"

"Grglg!"

I corvi osservavano con indifferenza gli uomini intenti nelle loro cose. Il sergente, ora pallido come un annegato, riprese rapidamente colore quando Osyan gli afferrò la gola per strangolarlo.

"Grglg!"

Erskine entrò nella radura. A quella vista, imprecò e lasciò cadere il mucchio di rami che stava trasportando. Muovendosi a grandi falcate, raggiunse la slitta, afferrò Osyan per il cappotto e lo gettò a terra.

Il vecchio, ora color barbabietola, si dimenava sotto la pelliccia mentre cercava di riprendere fiato.

"Così lo ammazzi, razza di cretino!" Erskine ringhiò e tirò al compagno un calcio nelle costole.

"Hai perso la testa? Perché non mi hai chiamato, quando si è svegliato?"

Osyan strisciò via sui gomiti, fuori portata dallo stivale di Erskine.

"Non volevo ammazzarlo. Solo spaventarlo un pochino." Un sorrisetto arrogante gli attraversò il viso.

Erskine gli lanciò un'occhiataccia. Se Osyan fosse riuscito in qualche modo a estorcere al vecchio la posizione del nascondiglio, avrebbe preso il sergente e si sarebbe precipitato nel bosco senza pensarci due volte, abbandonando il complice nelle gelide lande. Proprio come avevano fatto con Néris.

"Fallo di nuovo e ti impicco per le palle."

"Verrete impiccati entrambi", ringhiò il sergente. "Disertori. Traditori!"

Ridacchiarono all'unisono.

"Perché ci tratti così, comandante? Ti abbiamo sottratto alla morte! Ci siamo presi cura di te! Per come la vedo io, un po' di gratitudine ce la meritiamo, no?"

"Il boia vi ringrazierà volentieri con la sua ascia."

Erskine si soffiò sulle mani ruvide e intirizzite, poi si appoggiò alla slitta. Osyan si alzò da terra e prese posto dall'altra parte. Il sergente li guardò torvo da sotto le sopracciglia gelate. Il dado ormai era tratto. Mentire non aveva senso. Non dopo quello che aveva fatto Osyan.

"Dove hai nascosto il bottino, vecchio furbacchione?"

"Appartiene alla compagnia. Verrà diviso equamente."

"Non farmi ridere. È il frutto delle razzie a Dillingen. Ohoh, siamo ladri d'onore, eh?"

"Preso secondo la legge del conquistatore. Da una città rivendicata dalle corazze nere. Cosa sei, Erskine? Una verginella in tempi di guerra? È la tua prima volta?"

"Non la prima. Ma probabilmente l'ultima, dopo che avremo messo le mani su questo bottino. I giorni in cui marciavo dietro alle trombe sono finiti.

Osyan serrò le labbra, estrasse il coltello, sputò sulla lama e la pulì sulla manica.

"Perché perdere tempo in spiegazioni inutili? Cominciamo a tagliare e facciamo in modo che canti."

Erskine fece spallucce, aggiungendo nient'altro che il suo tacito consenso. Provava ancora una parvenza di rispetto per il sergente, la cui testardaggine adamantina aveva portato la loro unità alla vittoria in svariate occasioni, e non aveva molta voglia di farlo a pezzi come un animale rabbioso. Così, concesse al vecchio un momento per trarre le proprie conclusioni, per rendersi conto della gravità della situazione.

Osyan, ovviamente, questo non lo capiva. Era entrato al servizio di Re Foltest l'autunno passato, dopo che la cavalleria kaedweniana aveva saccheggiato e distrutto la fattoria di suo padre. L'esperienza aveva insegnato a Osyan che "soldato" significava "ladro impunito". Ecco perché si era arruolato.

Fece scivolare il coltello sotto la pelliccia, premendo il filo freddo della lama contro la nuda pelle del sergente. Sul volto sfregiato di quest'ultimo, rabbia e amarezza lasciarono il posto all'impotenza. Rassegnato al suo destino, parlò.

"Sullo Yaruga, a un giorno di cammino a est di Dillingen, c'è una segheria. Abbiamo combattuto con i nilfgaardiani. Volevano usare le chiatte per ritirarsi sfruttando il fiume..."

Erskine e Osyan si chinarono sul ferito come famelici avvoltoi.

Dettlaff fece sedere Regis al tavolo. Si guardò intorno, poi andò alla botola del seminterrato.

"È stato avventato", disse.

"Lo so."

"Non dire più che ti serve altro tempo. Sai cosa va fatto."

"Lo so."

Il fuoco del camino si era spento e l'oscurità aveva avvolto l'interno della capanna abbandonata. Néris si sedette al tavolo e sorseggiò l'infuso di mandragora. Regis si stava massaggiando la tempia, dolorante per la caduta.

"Hai detto che volevi il nostro aiuto".

"Sì."

"Ho una condizione: basta con i segreti. È il momento della verità. Fornita nella sua interezza e il più sinteticamente possibile. Per favore."

"La verità è noiosa, Regis." Néris sospirò. "Da qualche parte vicino a Dillingen, c'è una cassa contenente il bottino di guerra. Arnault, questo è il nome del sergente, l'ha nascosto lì per tenerlo al sicuro fino al termine del conflitto. Sfortunatamente, alla fine della campagna, è stato ferito in battaglia. Lo abbiamo prelevato dall'ospedale da campo, così non sarebbe morto lì, al freddo e infelice."

"E così, già che c'era, avrebbe potuto darvi la posizione del bottino."

Néris rimase in silenzio. Regis si sgranchì le mani.

"Perdonami, ma non mi hai convinto."

"Sai cosa lo aspetta, se non li seguiamo. Erskine e Osyan... li avete conosciuti. Avete visto che tipi sono."

"E tu? Chi sei... tu?"

"A me interessa solo l'oro. Non lo voglio morto."

"Quale nobiltà d'animo."

"Quella la lascio a te, Regis. No, non interrompermi. Ti ho visto prenderti cura di Arnault, giorno dopo giorno. E hai aiutato anche me, anche se non dovevi. Vuoi la verità? Eccola. Sai già che senza il nostro aiuto lui morirà. Verrai con me perché la tua coscienza ti obbliga a farlo."

Dettlaff alzò una botola tra le assi del pavimento.

"Ha ragione, Regis", commentò. "Facciamola finita."


---


C'era umidità nella cantina, e buio pesto.

Regis fece scorrere il carboncino sul pavimento e chiuse il simbolo. All'interno del cerchio mise la ciotola d'argilla che avevano preso dalla capanna di Fen Carn.

"Perché l'hai salvato, Dettlaff?"

"Chi?"

"Il soldato temeriano, all'Ina. Potevi lasciarlo lì."

"Potevo. Ma salvargli la vita... sembrava una cosa che avresti potuto fare tu."

Il cerchio brillò, l'antica magia smosse l'aria. Dettlaff era chino sopra la ciotola. Con un rapido movimento, si tagliò il polso. Il sangue iniziò a riversarsi nel recipiente.

"Per me è sempre stato facile", disse. "Sono in giro da parecchio tempo. Ho una ferma opinione sugli umani e su quelle che hanno il coraggio di chiamare civiltà. Si diffondono in questo mondo come una pestilenza. Organizzate in modo così approssimativo da non poter assolutamente funzionare."

"O almeno così pensavi finora."

"E lo penso ancora."

"Ma qualcosa è cambiato."

Dettlaff fece una smorfia, si sgranchì le dita intorpidite.

"In loro ci vedi qualcosa di più", disse. "Vuoi comunque aiutarli. È così..."

"Da ingenui?"

"Intrigante."

Dettlaff chiuse la ferita e uscì dal cerchio. Regis prese il suo posto. Afferrò la ciotola con entrambe le mani, bisbigliò un incantesimo e bevve.

Il sangue fresco si riversò dentro di lui, provocando tremori di euforia. I suoi sensi di vampiro, finora sopiti, esplosero. Iniziò a sentire ogni minimo rumore. Un turbine di vento che alzava la neve sulle colline. Il gorgoglio delle torbide acque dello Yaruga. Il nitrito di un cavallo e il rumore dei suoi zoccoli su un sentiero lontano.


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Lo stallone sbuffò. Sorensen gli diede un colpo di redini. Voleva assicurarsi di essere abbastanza lontano dalla capanna.

Il sole stava sorgendo quando raggiunse la radura sugli Altopiani di Turlough. I pini proiettavano lunghe ombre sulle rocce. Si sedette sul tronco di un albero caduto e si avvolse nel suo mantello.

"Sabrina."

"Ma lo sai che ore sono? Credi che le maghe non dormano?"

"Ho trovato i vampiri."

Un sospiro.

"Contratto concluso?"

"Non ancora. Ma ho sentito quello che dicevano. So chi stanno seguendo."

"Sorensen, tesoro... Se mi servisse un segugio, ne assolderei uno. Ma sbaglio o tu sei... un witcher?"

"Un witcher, non un idiota. Il grigio, Regis... Pensavo che ucciderlo sarebbe stato un atto di pietà, ma non finirà nella tomba. Allo Yaruga, ha ipnotizzato una banda di soldati."

"Vuoi contrattare di nuovo?"

"Voglio aiuto."

Sabrina rise sommessamente.

"Per tua fortuna sono preparata."

Un lampo, e un portale si aprì nelle vicinanze. Il potere si riversò fuori dal vorticoso caos e assunse la forma di un'arma. Il contorno divenne sempre più nitido, poi finalmente si riempì di calore e si solidificò. Un pugnale decorato cadde nella neve.

Sorensen lo raccolse, fece scorrere le dita sulle rune.

"Che cosa ci faccio? Ci affilo i paletti?"

"È incantato. Si attiva a contatto con la carne di vampiro. Non sono riuscita a riprodurre l'incantesimo per intero, ma quello che ho infuso nel pugnale dovrebbe bastare."

"Sicura che funzionerà?"

"No. Vilgefortz, il creatore dell'incantesimo, era diabolicamente intelligente. Ricreare la formula è stata una sfida costosa, la sola procedura di infusione della lama ha richiesto una settimana. Usalo con saggezza. Puoi colpire una sola volta."

"Vorrei ricordarti che loro sono in due."

"Sì, lo so. Ma tu, mio caro..."

Sorensen sospirò. Saltò giù dal tronco e infilò il pugnale sotto la cintura.

"Ma io sono un witcher".

"E ti inventerai qualcosa." La maga fece una pausa. "Dico bene?"

Sorensen montò a cavallo. Guardò le tracce della slitta che attraversavano la radura verso ovest.

"Ho alternative?"

La porta, tenuta a malapena da un unico cardine, sbatté contro il muro quando Osyan si fiondò fuori dalla segheria, sbuffando e ansimando.

"Niente. Niente! Nemmeno una vecchia moneta arrugginita!"

"Hai trovato quei mattoni sconnessi di cui parlava?"

"Ma hai visto la cantina? Sono quasi tutti sconnessi! Ho tirato giù praticamente tutto il muro e di nascondigli nemmeno l'ombra. E adesso entra tutta la terra da fuori, maledizione. Siamo nel posto sbagliato, te lo dico io."

Erskine guardò la radura. Una fossa comune riesumata, cadaveri congelati sparsi qua e là, mezzi mangiucchiati dagli animali selvatici. Mantelli neri di Nilfgaard con il simbolo dello scorpione.

"Il posto è giusto. Questi sono i cadaveri dei lancieri della Settima di Daerlan. Proprio come ci ha detto il vecchio."

"Allora si deve essere confuso. Sveglialo."

Dalla slitta provenne una risata fragorosa. Il sergente era già sveglio e li stava ascoltando. Ridacchiò, godendosi il momento.

"Che hai da ridere?" Osyan ringhiò e fece per colpire il vecchio. Erskine gli afferrò il polso.

"Datti una calmata. Stava per dire qualcosa."

Erskine avvicinò l'orecchio alla bocca del comandante e ascoltò i suoi striduli bisbigli: "Siete già morti, stupidi idioti".

Sogghignando, il sergente tirò fuori la mano dalla pelliccia e indicò Dillingen con un dito tremante. Un sole basso, nascosto dietro una foresta di frassini spogli, proiettava lunghe e sinistre ombre sul terreno. I due disertori scrutarono nella direzione indicata dal vecchio.

All'improvviso, Erskine si accovacciò e ispezionò il cadavere più vicino. Le piastre dell'armatura avevano impressi segni di artigli, divelte per esporre la carne sottostante, congelata e tranciata. Le ossa erano scheggiate e spezzate da mascelle molto più potenti di quelle di un lupo.

Il temeriano, ora anch'egli pallido come un morto, balzò in piedi e si voltò verso il suo compagno.

"Mangiamorti!"

La risatina malevola del sergente risuonò nelle loro orecchie, mentre terribili occhi lampeggiavano freneticamente tra gli alberi nell'imminente oscurità.


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Il witcher seguiva le tracce della slitta. Era l'imbrunire, quando la foresta lasciò il posto a una radura dove una capanna di boscaioli abbandonata si ergeva al lato di gruppi di alberi abbattuti. A un tratto, un ululato famelico sovrastò il dolce mormorio del fiume. Seguito a ruota da un abbaiare pazzo. Il cavallo sbuffò e si rifiutò di proseguire. Così, il witcher fu costretto a lasciarlo lì e andare avanti a piedi.

Sorensen scivolò dietro la linea degli alberi ed entrò nella radura. La luna piena danzava sulle acque d'argento dello Yaruga, sulla neve d'argento... e sulla spada d'argento del witcher. Un branco di ghoul si aggirava per la segheria, bramoso di mettere le orribili zampe sulle persone barricate all'interno. Una slitta giaceva abbandonata vicino alla ruota dell'acqua. Una di quelle miserabili creature stava divorando un poveraccio che vi era sopra. L'orrendo schiocco e scricchiolio della carne lacerata e delle ossa frantumate riempiva l'aria.

Un dardo dell'arbalesta tirò giù il mostro dalla slitta e lo inchiodò a un albero.

Sorensen sganciò una piccola bomba dalla cintura, accese la miccia con il segno Igni e si mise all'opera.


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Il witcher, in tutta onestà, in quel momento appariva terrificante quanto i mangiamorti.

Occhi da rettile. Vene gonfie e annerite che gli pulsavano sul collo e sulle tempie. I vestiti emananti il fetore di sangue di mostro.

"Avete qualcosa di forte da bere?"

In qualche modo, la domanda lo rese immediatamente più umano. Osyan gli porse una borraccia.

"I vostri amici stanno arrivando. Presto si uniranno a noi."

I disertori si guardarono. Erskine, istintivamente, mise una mano sull'elsa della sua spada. Tuttavia, l'idea di usarla non gli piaceva per niente.

"Cosa ti ha dato l'idea che stiamo viaggiando con un gruppo più grande? Stai seguendo le nostre tracce?"

"Solo quelle dei due che si sono uniti a voi durante il viaggio."

"Hai qualche problema con loro?"

"In un certo senso. Mi hanno pagato, per loro. Sono un witcher, qualora non l'aveste notato."

"E loro cosa sono? Drowner?"

"Vampiri."

Erskine rimase senza parole per qualche istante.

"Sembravano persone normali", disse infine.

"La cosa sorprende anche me." Il witcher fece spallucce. "In ogni caso, sono estremamente letali."

Osyan, consumato dalla sua delusione, prese a calci un mucchio di attrezzi arrugginiti, come se fossero personalmente responsabili del suo fallimento. Gli attrezzi rovinarono a terra con un triste clangore.

"Il vecchio ci ha ingannati. Ci ha portati qui per trovare la morte. Tutta questa strada e neppure il becco di un oren."

Il witcher mise la mano nella sua bisaccia. Fece girare una moneta tra le dita insanguinate. Una sfinge su una faccia. Un carro sull'altra. L'antico oro catturava il riflesso della luce lunare. I disertori la osservavano come ipnotizzati.

"Non so cosa steste facendo qui. Ma credo di potervi proporre qualcosa di meglio. Mi servono aiutanti."

"E sei disposto a pagare..." Osyan deglutì "...in oro?"

"Non io." Il witcher sorrise maliziosamente. "I vampiri. Ne hanno parecchio. E voi... potete aiutarmi a tendere una trappola."

Sul campo di battaglia non volava una mosca. La luna piena scintillava sui ghiaccioli che pendevano dalla segheria, sull'armatura arrugginita dei soldati caduti.

Trovarono la slitta vicino alla ruota idraulica.

Regis scavalcò i resti insanguinati della cavalla. Sollevò la pelliccia sotto la quale giaceva il sergente.

Nere cavità al posto degli occhi. Guance a brandelli. Una bocca congelata in un grido contorto.

Néris si piegò sulle ginocchia e vomitò.

Da qualche parte dietro di loro, in un boschetto avvolto nell'ombra, si udì uno scatto.

Un lampo balenò nell'oscurità. Il proiettile colpì deciso il braccio di Regis, inchiodandolo alla slitta. La ferita iniziò a sfrigolare e fumare, e l'odore di carne bruciata impregnò l'aria.

"Veniva da là!" gridò Néris. Estrasse la spada dal fodero e si precipitò verso il margine del bosco.

Dettlaff già sapeva con chi avevano a che fare. Si ricordò del suono. Si ricordò del luccichio delle rune sull'argento.

Trasformandosi in un istante, sbatté le ali coriacee e si gettò in volo verso la foresta. Superò Néris ed entrò nel boschetto, pronto a incontrare il witcher.


---


Il mostro aveva abboccato all'esca.

Sorensen lo guardò alzarsi nel cielo, spiegare le ali e poi scomparire tra gli alberi. La condottiera era corsa dietro alla bestia, con la spada sguainata.

Il witcher fu grato per questa decisione. Non voleva ucciderla.

Bevve la sua pozione, trasse un respiro profondo e balzò fuori da dietro una catasta di assi. In due falcate, raggiunse il vampiro ancora inchiodato alla slitta.

Un rapido colpo per decapitare il succhiasangue.

Vibrò la spada e la lama d'argento fischiò.

Ma non arrivò a destinazione per un soffio.

Il vampiro si liberò all'ultimo istante, deviando il colpo con gli artigli. Ma il witcher non aveva intenzione di dargli tregua. Finse un colpo dal basso, spezzò il ritmo dei suoi passi, poi si proiettò in avanti, verso il ventre della bestia.

Il mostro si scostò, poi balzò in avanti. I suoi artigli scintillanti mancarono la testa di Sorensen di un soffio. Il witcher si accovacciò, tirò un fendente basso. Questa volta, colpì il suo bersaglio squarciandogli il polpaccio. Senza un attimo di esitazione, mirò il suo prossimo attacco al collo. Il vampiro si fece scudo con la mano. La lama gli tranciò le dita, perse di slancio e sibilò oltre le fauci della bestia.

Il mostro si scagliò contro il witcher, e i suoi artigli gli avvolsero la gola. Sorensen grugnì, prese velocemente una bomba dalla cintura e la fece cadere ai loro piedi. Ci fu un boato, seguito da un fischio acuto. Una fitta nebbia riempì l'area, oscurando tutto. Il witcher agitò la spada, ferì la bestia al petto, quindi la scagliò via con un segno Aard. Il vampiro rovinò sulla slitta e finì nell'oscurità insieme al cadavere del sergente.

Sorensen inspirò avidamente, massaggiandosi il collo. Un sorriso si disegnò sul suo volto. Il mostro sanguinava copiosamente. Le ferite inflitte dall'argento della manticora si sarebbero acutizzate da un momento all'altro, indebolendolo ulteriormente.

Impugnò la spada con entrambe le mani e calmò il proprio respiro.

"Facciamola finita", disse.


---


Forme umane lampeggiarono di rosso negli occhi di Dettlaff. Un balestriere e... qualcun altro, in agguato nell'ombra. Il loro sangue aveva un odore familiare. I due sciocchi con i quali aveva viaggiato di recente. Non percepì la presenza del witcher. Disturbante.

La corda vibrò, ma il dardo non lo colpì, scostato dalla traiettoria con un cenno disinvolto dei suoi artigli. Dettlaff si gettò in picchiata, arpionando il tiratore con un'ala e facendolo cadere dal ramo su cui era appollaiato. L'uomo lasciò cadere l'arma mentre precipitava dal suo trespolo e atterrò pesantemente su di un cumulo di neve sottostante.

Dettlaff tracciò uno stretto arco nell'aria, poi atterrò, tornando alla sua forma umana. L'altro uomo doveva aver pensato di essere passato inosservato, quando balzò dal suo nascondiglio dietro un tronco con il pugnale puntato al collo del vampiro. Con inaudita velocità, Dettlaff afferrò il polso dell'aggressore prima che l'attacco potesse concludersi. Il suo sguardo indugiò sulla lama, le rune incise su di essa brillavano di un blu inquietante. Provò curiosità, ma solo per un momento. Riportando la sua attenzione sull'uomo, frantumò le ossa nella sua presa. L'aggressore gridò di dolore mentre l'arma gli scivolava via dalle dita malconce. Dettlaff lo scagliò nella neve.

Lanciò un'occhiata ai due uomini rannicchiati, impotenti e terrorizzati. Lo guardavano come fossero condannati a morte in attesa della sentenza. I cuori battevano come tamburi sotto il loro petto. I polmoni si dilatavano, i respiri erano nervosi. Il fiato produceva ondate di vapore nell'aria gelida. Così tanta paura, tremore, conflitto, inganno⁠. Cos'avrebbe dovuto fare? A cosa sarebbe servito?

"Perché?" chiese lui. Il suo stesso respiro era freddo. Ma invisibile.

Prima che i due uomini riuscissero a far obbedire le gole serrate e i denti che battevano, Néris comparve dalla direzione della segheria.

"Sono mostri", rantolò Osyan, tenendosi il braccio rotto. "Sono mostri, e tu te ne vai in giro con loro!"

Néris non lo degnò di risposta. Notando lo sguardo del suo ex compare concentrato sul pugnale caduto, raccolse l'arma e si voltò verso Dettlaff.

"Hanno ucciso il sergente. Finiscili o lascia che lo faccia io."

Il vampiro le fece cenno di aspettare.

"Non riesco a capire. Perché?" ripeté. "Il comandante vi ha condotti qui. Cosa vi costava prendere i soldi e andarvene? Perché attaccarci?"

"I soldi non ci sono!" gridò Osyan. "Il vecchio ci ha attirato in un campo di battaglia infestato da mangiamorti! Si è portato i segreti nella tomba, ecco cos'ha fatto, quel bastardo!"

"Ma loro", intervenne Erskine, indicando Dettlaff, "loro hanno con sé tesori veri! Oro di antiche tombe. Quello che hanno usato per pagare il cavallo che abbiamo preso lungo la strada. È stato il witcher... Ce l'ha mostrato lui."

Il metallo balenò. Néris afferrò la moneta lanciata dal temeriano, la esaminò da vicino. Doveva valere una fortuna.

"Ne hanno altre. Più di quante potremmo mai spendere. Stavamo appresso al nascondiglio del sergente, mentre per tutto questo tempo..."

Dettlaff restò alquanto deluso. Regis lo aveva quasi convinto che c'era dell'altro, in quelle creature. Che gli umani non erano solo infidi imbecilli consumati dall'avidità e obnubilati da vili desideri. Che non erano così miseri e decadenti come sembravano a una prima occhiata. Ma il suo amico si sbagliava. Erano irrecuperabili. Come per il nascondiglio del sergente, non esistevano tesori nel cuore degli umani. Il forziere era stato aperto ed era vuoto. Come lo sarebbe sempre stato.

Dettlaff, con una sola mano, tirò su Osyan, che iniziò ad agitarsi. Inclinò la testa, allungò le zanne e lasciò che l'odore del sangue gli riempisse le narici. L'euforia pulsò in tutto il suo corpo.

Poi ci fu un dolore improvviso.

Néris, con la velocità di una serpe, aveva affondato il pugnale fino alla guardia dell'elsa nel braccio di Dettlaff. Il vampiro lasciò cadere Osyan e fece un balzo all'indietro, sibilando e scoprendo i denti. Fiamme blu divamparono nel punto in cui la lama incantata era penetrata. Lentamente, la fiamma gli consumò l'arto, lambendogli il collo. Fece per estrarla, cercando di liberarsi dal maleficio. Ma Erskine afferrò la balestra nella neve, prese la mira e tirò. Un dardo d'argento sibilò nell'aria e inchiodò l'altro braccio del vampiro a un tronco.

Con un braccio inchiodato a un albero e l'altro divorato dalle fiamme incantate, Dettlaff si appellò al potere del sangue e provò a trasformarsi. Ma l'argento del witcher impediva la metamorfosi.

Emise un ululato agghiacciante, e la notte rispose con un latrato lontano.

"Voglio che la mia fetta sia il doppio", disse Néris, aiutando Osyan a rialzarsi.

Il vampiro provò a mettersi in piedi, ma la sua gamba rotta si rifiutava di obbedire. Il sangue gli colava da uno squarcio nel petto. La sua mano senza dita sussultava incessantemente.

Regis guardò il sergente al suo fianco, invidioso. Se non altro, lui non sentiva più niente.

Il witcher si stava avvicinando. La luna danzava sulla lama d'argento.

C'era solo un modo.

Mi dispiace.

Si trascinò sul cadavere e vi affondò le zanne.

Un retrogusto metallico gli impregnò la lingua. L'euforia giunse a ondate pulsanti. Le ferite persero d'importanza, il dolore si allontanò.

Il witcher fece capolino da dietro i resti della slitta e imprecò. Regis si alzò. Tirò un profondo respiro. I suoi occhi si fecero rossi.

Ruggì come una bestia feroce. Il suo viso si allungò in una maschera minacciosa, e lunghi artigli spuntarono dalle dita della sua mano sana.

Il resto divenne tutto confuso. Osservò lo svolgersi degli eventi da dietro un velo, come un intruso nel suo stesso corpo che indossava le carni di una bestia primordiale.

E la bestia voleva il sangue.

Il witcher tracciò un segno con le dita, ma questa volta il mostro si scansò facilmente, lasciando che l'ondata di energia disperdesse la neve dietro di lui. L'ammazzamostri fece per prendere un'altra bomba, ma era lento. Troppo lento. Il vampiro lo colpì con furia, gli artigli lo trafissero con facilità. Le sue dita si allentarono e la lama d'argento cadde nel gelido biancore tinto di rosso.

La bestia allungò le zanne.

L'arteria pulsava, il cuore batteva, il sangue pompava. Era giunto il momento di arrendersi alla propria natura. Di fare esattamente quello per cui era nato.

Non voglio farlo.

Regis si bloccò. Le fattezze del volto si distesero e si ammorbidirono, gli artigli si ritrassero con un sibilo. Lasciò il witcher, facendolo cadere nella neve.

Il vampiro si concentrò sulla quiete prima dell'alba. Ben presto, il ritmo del sangue pulsante scemò, poi scomparve del tutto. Si chinò sul cacciatore e lo guardò dritto negli occhi.

"Non sono un mostro", disse.

Si voltò e si allontanò tra gli alberi, lasciando solo il witcher.


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La fiamma blu aveva carbonizzato la mano e l'avambraccio di Dettlaff, fino a raggiungere spalla e collo.

"Il witcher aveva detto che lo avrebbe ucciso. Che lo avrebbe consumato fino alle ossa."

"Non facciamoci fregare come con il vecchio! Dov'è l'oro, brutto bastardo?" gli gridò addosso Osyan.

Il vampiro sgranchì le dita intorpidite della mano non compromessa. Il dardo che aveva nel braccio lasciava poco margine di manovra. Scostò indietro il mantello, staccò il borsellino dalla cintura e la gettò a terra.

Osyan, sebbene ferito, fu il primo a raggiungere l'ambita ricompensa. Ma all'improvviso si udì il rumore di un dardo che veniva caricato.

"Metti giù, cane", ringhiò Erskine. "Siamo venuti per il bottino e tu non sei un soldato, ma solo un bastardo."

"Guarda che anch'io ho dato una mano!"

"Balle. Hai dato una mano? Ma se è stata Néris a pugnalarlo."

"Ecco perché voglio una fetta più grande", puntualizzò lei.

"Oh, non ne dubito." Erskine la guardò di traverso. "Un attimo fa eri la migliore amica dei succhiasangue. Osyan, non muoverti o ti pianto un dardo in corpo."

"Siamo in due... Non... non puoi ricaricare..."

"Finiscilo, Erskine, così ce ne andiamo. Prima che arrivi il witcher a chiedere la sua parte."

Erskine sbuffò. "Sei una vera serpe."

"Meglio dividere per due che per tre."

"E vuoi che un witcher ti venga a cercare?"

"In due possiamo conciarlo per le feste."

"Scherzi? Col cavolo che faccio il viaggio di ritorno insieme a te."

Osyan cercò di approfittare dei battibecchi tra i suoi compagni e si gettò tra gli alberi. Lo raggiunsero quasi subito. Néris gli fece lo sgambetto. Osyan rotolò sulla terra gelata e cadde in un canale. Dopodiché, ricominciarono a discutere.

Poco dopo, degli occhi iniziarono a brillare tra gli alberi. Erano venuti in gran numero in risposta alla chiamata di Dettlaff. In silenzio, circondarono il frassino, a due passi dagli ignari disertori. Saliva calda colava nella neve dalle loro bocche mentre attendevano un ordine.

Uno di loro estrasse il dardo con i denti, liberando Dettlaff dall'albero. Il vampiro sgranchì le dita rigide della mano liberata. Con uno scricchiolio nauseante, strappò i resti del suo braccio consumato dal fuoco magico e gettò a terra il moncherino trafitto dal pugnale, lasciandolo sfrigolare nella neve.

Alzò la mano, e le creature della notte trepidarono per l'attesa. Il sergente aveva ben capito che tipi erano queste persone. Sapeva cosa meritavano. E così, Dettlaff decise di onorare la sua memoria.

E sguinzagliò i mangiamorti.


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Era l'alba, nevicava.

Dettlaff era seduto, solo, vicino al vecchio frassino. Regis gli si avvicinò e si accovacciò accanto a lui. In silenzio, fissarono i tre cadaveri che stavano scomparendo sotto la coltre bianca. Tra di loro c'erano monete d'oro sparse qua e là.

"Quei due... meritavano una punizione", disse Regis. "Ma non una fine così."

"Tutti loro. Tutti e tre. Se la sono cercata. La loro natura li ha condannati."

"E così sei diventato un esperto di natura umana."

"Un esperto? No, ma ne ho compresa una grande verità."

Dettlaff notò la mano ferita di Regis.

"Il witcher?"

"L'ho lasciato andare."

"Tu sei matto."

"No, solo non sono chi tu pensavi che fossi."

Il sole fece capolino tra gli alberi. Un vento gelido iniziò a soffiare via la neve dai rami spogli. Regis si alzò in piedi e si sistemò la borsa.

"Vado."

Dettlaff guardò negli occhi vitrei di Néris. Si abbassò e sfilò una moneta dalle sue dita.

"Vai", disse. "Vivi tra gli umani. Tra la tua gente. Ti auguro di non trovare la tua fine in mezzo a loro."

"E tu? Cosa farai?"

Dettlaff infilò la moneta nel borsellino.

"Ancora non lo so. Ma so da dove cominciare."


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Flop, flop, flop. Splash.

"Sabrina."

Il witcher scelse un altro ciottolo. Piatto. Liscio. Perfetto. La placida superficie dello Yaruga brillava al sole.

Flop, flop, flop, flop. Splash.

"Hai finito?" rispose la maga attraverso lo xenovox.

"In un certo senso. Mi tiro fuori dall'incarico."

Ci fu un attimo di silenzio. Del genere che preannunciava tempesta.

"Ti... Ti tiri fuori? In che senso, scusa?" C'era più veleno nelle sue parole che nel pungiglione di uno scorpione.

"Hai sentito." Sorensen si girò un ciottolo tra le dita, lo soppesò e lo fece saltare sull'acqua. Flop, flop, splash.

"Hai paura, eh? Finalmente si manifesta la tua vera natura. Codardo. Bastardo. Miserabile omuncolo. Inutile sacco di letame..."

La litania sembrava non finire più. Sabrina possedeva un ricco vocabolario di insulti e un'immaginazione sorprendentemente depravata. Le sue urla di furore facevano vibrare lo xenovox.

Sorensen rimase in ascolto per un po', fissando l'acqua. Alla fine, si stancò di tutto quel blaterare. Prese la scatola magica e la soppesò nel palmo della mano.

Splash.


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Un ceppo si sfaldò nel focolare, e un piacevole tepore si diffuse nella stanza.

Aine si sedette sulle pellicce, fece scorrere l'archetto. Il violino era scordato. Girò la chiave per intonarlo, ma prima che potesse rimettersi a suonare qualcuno aprì la porta.

La ragazza lo riconobbe subito.

"Dov'è tuo padre?"

"A Kagen. E i tuoi... compagni?"

"Sono solo."

"Entra, mio signore. Riscaldati."

L'ospite si sedette al tavolo. Fissò le fiamme, in contemplazione.

"Ludka ha lavorato bene?"

"Ha raggiunto la fine del suo viaggio".

Aine posò lo strumento e rintuzzò il fuoco. Lo straniero mise la mano alla cinta.

"L'oro che avete ricevuto... valeva più di quanto pensi."

"Non l'abbiamo più."

"Lo so."

Il nuovo arrivato si aprì la bisaccia e mise due monete sul tavolo. Aine sospirò.

"No... non è giusto. Ci hai pagato bene per Ludka. Non è colpa tua se abbiamo perso il nostro oro a causa della mia stupidità."

Lo straniero rimase in silenzio a lungo.

"Diciamo che anche questo è un pagamento equo."

"Per cosa?"

"Per la lezione che mi stai dando adesso."

L'ospite si alzò e se ne andò. Aine fissò le monete luccicanti. Dopo un attimo, prese il cappotto di pelle di pecora e corse fuori nella notte.

Le impronte nella neve, dopo pochi passi, finivano. Dello straniero non vi era più alcuna traccia.

C'era solo il vento gelido che fischiava tra gli alberi solitari. L'assaggio di un lungo inverno.

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