Il Viaggio di Alzur - Storia Completa

Capitolo 1


"Erano tutti morti. Eccetto me, ovviamente." Il tono di Galanthea si fece greve. "Ma gli altri... le persone che avevo amato fino a quel momento..."

Le fiamme del falò danzavano nei suoi grandi occhi blu mentre questi ultimi passavano in rassegna i volti del suo pubblico improvvisato: un gruppo di nani, un halfling sarto, un mercante, un soldato e alcuni colleghi di Oxenfurt. Nessuno aveva la minima intenzione di interrompere il racconto, così lei continuò...

"Stavamo girando per la contea, battendo le solite tappe: tenute private, locande, bordelli... chiunque avesse qualche soldo da sborsare per un po' di intrattenimento. Era l'alba, e uno strato di nebbia rinfrescante ci circondava, rendendo il bosco quasi etereo. Uno spettacolo per gli occhi. Sul carro davanti, alcuni degli attori erano particolarmente su di giri. Elba e Joel scherzavano a voce alta, ancora ubriachi dalla sera prima. Lo ricordo chiaramente, perché fu in quel momento che..." Fece una pausa, creando un senso di attesa. "...arrivarono i terrori volanti."

L'halfling sarto sgranò gli occhi, rapito. Alcuni nani scossero il capo, mormorando oscenità sotto le folte barbe. Gli altri, tuttavia, continuarono a bere la propria birra e a parlottare, per nulla interessati alla menzione dei mostri. Dopotutto, attacchi del genere erano alquanto comuni, e ne avevano sentito parlare in tante altre occasioni.

"All'improvviso, l'atmosfera mutò. Gli uccelli smisero di cinguettare. L'aria si fece immobile. La foschia sembrò infittirsi, insinuandosi tra gli alberi e per tutta la radura come dei tentacoli impalpabili. Consumandoci. Nel giro di pochi istanti, fummo circondati da questa fitta nebbia. Era come se tutt'intorno a me fosse stata stesa una coperta bianca. Non riuscivo a vedere nient'altro.

Alcuni dei nostri trovarono la cosa curiosa, tanto che li sentii ridacchiare. Ma non durò molto. Un urlo pose fine al loro diletto, seguito da uno strillo raggelante, poi da un altro. Diverse ombre cominciarono a manifestarsi dalla nebbia sopra le nostre teste. Saltai velocemente giù dal carro per nascondermici sotto. Rannicchiata in mezzo al fango, sentivo i miei amici morire. Grida da incubo, mentre venivano trucidati uno dopo l'altro, e io non potevo fare nulla. Ero solo una bambina..."

"Come sei riuscita a fuggire?" chiese impaziente il soldato.

"Sta' zitto e lascia che finisca la storia", protestò un nano.

La giovane annuì per ringraziarlo e buttò qualche rametto nel fuoco. "Non sentivo più i miei amici. Mentre tremavo di paura nel mio incerto nascondiglio, tutto quello che riuscivo a udire era un gracchiare mostruoso che proveniva dall'alto. Poi... PUM! Qualcosa atterrò sul bordo del carro e una lunga coda squamata cominciò a dimenarsi davanti a me. Sopra la mia testa, uno stridore gutturale, molto vicino. Non credo e non ho mai creduto in nessuna divinità, ma in quel momento di disperazione... pregai. E, come in risposta alle mie preghiere, in quel momento un fulmine attraversò la nebbia e uno spettro di colori turbinò in direzione del carro. Ci fu un urlo lancinante, e la parte posteriore della coda cadde nel fango, separata dal resto. Tutto attorno, il gracchiare lasciò il posto a grida stridenti e rumori di frenesia. Le sagome alate nella nebbia esplosero in un tripudio di sangue, e il lezzo di carne bruciata travolse le mie narici, quasi soffocandomi. Uno dei demoni alati cadde dal cielo e precipitò sulla strada inzuppata di sangue. Il suo corpo grottesco era arrostito e fumante. L'essere pareva colto da un dolore insopportabile. Tentò più volte di riprendere il volo, ma alla fine crollò a terra senza vita. Poi, dalla nebbia comparve lui. L'uomo che mi aveva salvato."

"Bah!" sbottò una figura incappucciata, appoggiata a un albero appena fuori dal cerchio luminoso del falò, per poi borbottare qualcosa e sputare in segno di disprezzo. Galanthea guardò l'uomo per un attimo, valutando quel gesto maleducato, poi decise di ignorarlo e di concludere il suo racconto.

"Il mio salvatore se ne stava lì davanti a me, in mezzo alle creature che aveva neutralizzato, calmo e composto. Un'energia purissima percorreva la punta delle sue dita. L'uomo pulì via il sangue dei mostri dalla sua spada e la rinfoderò. Poi si inginocchiò e, con voce decisa e melliflua, mi consolò: "Non temere, piccola. Sei al sicuro."

"E questo è quanto. Quel maledetto giorno, nella nebbia, tra i cadaveri dei miei amici, quando oramai avevo perduto la speranza... le mie preghiere furono ascoltate. Ma non da una divinità, oh no..." disse Galanthea. "Da un rinomato mago di nome... Alzur."


Capitolo 2


"È per questo che hai smesso di essere un bardo? Di essere Fiocco di Neve?", chiese l'halfling sarto.

"Ma certo che no!" rispose Galanthea. "Quello è quando ho cominciato!"

"E allora perché smettere? Alla tua età avresti potuto comporre centinaia di ballate, anzi... migliaia!"

Galanthea inclinò il capo e si mise a pensare. Quante volte le avevano posto quella domanda dopo che aveva appeso il violino al chiodo? "Perché la vita cambia, caro amico. La vita cambia e a volte conviene adeguarsi al cambiamento."

L'halfling arricciò le labbra, scontento della risposta evitata, ma non osò indagare oltre e annuì.

"Dicci di più su questo mago rinomato..." chiese il soldato sporgendosi in avanti.

"Rinomato? Pfui!" esclamò uno degli uomini che stavano più indietro, il quale poco prima sembrava indifferente alla storia di Galanthea. "Infame è più adeguato! Quello è un ribelle e un pazzo, con una taglia sulla testa. Non certo un eroico salvatore di fanciulle."

"Ehi, bada a come parli!" si erse il nano in difesa di Galanthea. "Intanto la giovane l'ha salvata. Non può essere così cattivo."

"Ma perché?" si aggiunse il mercante, sbracciando. "Perché deviare dal cammino per salvare una bambina? Senza offesa, eh. Ma di certo uno stregone di quel calibro aveva affari molto più importanti di cui occuparsi. Stava passando di lì per caso e si è detto "Ma sì, perché no?" e si è lanciato in sua difesa? Mi sembra un po' tirata per i capelli..."

"Non direi proprio. Usa la capoccia." disse il nano. "I maghi vedono tutto! E possono teletrasportarsi! In un attimo sono qui, poi vanno lì, là e dove diamine gli pare. Lo sanno tutti!"

"Sì, hai proprio ragione. Bisogna proprio essere idioti a credere una cosa simile. Ma, ancora una volta, il punto non è il "come", ma il "perché". Quindi, rifaccio la domanda... perché?"

"Perché è questo che fanno gli eroi", intervenne un altro astante.

Galanthea sorrise e sorseggiò un po' del suo vino. I dibattiti accesi le erano sempre piaciuti, e sapeva che questo era un argomento alquanto... incendiario.

"Esatto! Arrivano e salvano le persone!"

"Ma figuriamoci! I maghi sono freddi. Calcolatori. Che gli importa dei nostri problemi? Che profitto traggono dal salvarci?"

"Forse stava dando la caccia a quelle bestie volanti per, non so, per ricavarci ingredienti magici."

"Nah. A quello ci pensano i loro apprendisti."

"Forse si stava solo svagando e..."

"Vanagloria!" La voce roca e sprezzante travolse il falò, interrompendo la discussione. "E maledetto orgoglio!" Il gruppo di viandanti si voltò all'unisono a osservare l'uomo incappucciato, che se ne stava in disparte appoggiato a una vecchia quercia. Era la prima cosa che diceva da quando si era unito alla carovana, poco dopo Vizima. In molti lo avevano preso per un muto o un toccato. Il loro sguardo indugiava sull'uomo incappucciato, in attesa di una replica approfondita. Ma rimasero delusi, poiché egli rimase stoico e silente tra le ombre.

"Io penso che... ehm..." incominciò l'halfling per spezzare quello scomodo silenzio. "Scusate. Penso che l'abbia fatto per dimostrare qualcosa a se stesso. Alzur, dico. Voleva essere valoroso. Come un cavaliere."

"Ah sì?" replicò Galanthea con curiosità. "E cosa ti porta a tale conclusione?"

" Beh, uno dei miei antenati, roba da non credere, lavorava nella stessa tenuta in cui Alzur crebbe." Si tamponò la fronte sudata con un fazzolettino consunto. "A volte ci raccontavano storie del passato, sapete? Crescendo, ho sentito molte..."

"Va bene, il contesto lo abbiamo capito", lo interruppe Galanthea. "Avanti, racconta!"

"Sì, giusto. Chiedo scusa. Beh... ehm... sì... dunque, tutto cominciò con una sorpresa..."


Capitolo 3


«E non mi riferisco al figlio della sorpresa, no, no, no. Chiedo venia, pessima scelta di parole. Sarebbe più adatto "bastardo della sorpresa". Poiché, quando Alzur era un infante, fu lasciato davanti alla porta di una tenuta di nobili alla periferia della città di Maribor, accompagnato da un semplice biglietto: "Sua madre è morta. Adesso è vostro."»

Il sarto saltò giù dal tronco su cui era seduto e prese a girare attorno al falò, tentando maldestramente di aggiungere una certa teatralità alla narrazione.

«Si ipotizzò che la madre fosse una cortigiana di una vicina casa chiusa. Tuttavia, i vari nobiluomini, si fa per dire, della tenuta facevano a gara per la loro dissolutezza, e non vi era modo di stabilire chi fosse il presunto padre. Nessuno osò rischiare di dare il potenziale frutto dei propri lombi in pasto ai lupi, così si decise di tenere il bambino. Ma non ci fu un lieto fine. Nessuno di questi uomini gli dimostrò affetto, per il timore che la cosa venisse considerata un'ammissione di colpa. Al contrario, le dame di corte si occuparono del neonato con premura, ma la pietà è un triste surrogato dell'amore.»

«Come se non bastasse, il piccolo veniva continuamente preso in giro ed escluso dai suoi fratelli per il suo essere figlio di nessuno. Pian piano, lo sfortunato giovinetto cominciò a rintanarsi nella biblioteca della tenuta, dove leggeva giorno e notte, incantato da mondi fantastici ed eroi valorosi. Un libro in particolare conquistò la sua immaginazione, un libro che rileggeva di continuo: "Guida alle virtù cavalleresche", di... Sir Mateo di Metinna, se non ricordo male. Alzur era visceralmente affascinato dalle imprese dei nobili cavalieri e dalla loro dedizione alle virtù cavalleresche che li guidavano...»

«E così, il giovane aveva preso a esplorare le terre della tenuta e la campagna circostante alla ricerca di qualcosa che mettesse alla prova le proprie virtù, come compassione, generosità e compagnia bella, alla stregua di un autentico cavaliere d'altri tempi. Dava una mano dove e quando poteva, cercando di conquistare l'approvazione della gente.»

«Tuttavia, essendo soltanto un bambino, la virtù del valore lo eludeva. Come poteva dimostrare il proprio coraggio come i valenti cavalieri dei suoi racconti preferiti?»

«Ebbene, un giorno, mentre si recava al mercato per fare delle commissioni, Alzur si imbatté in un gruppo di banditi che avevano assaltato un carro. Chiunque altro sarebbe scappato per chiedere aiuto, ma non lui. Alzur doveva dimostrare il proprio valore. Così si fece coraggio e decise di affrontare i malfattori...»

«Lo trovarono ore dopo, privo di sensi, malconcio e ricoperto di sangue sul ciglio della strada. Gli ci vollero settimane per riprendersi dalle percosse ricevute! Ma alla fine si riprese completamente. E, con grande sorpresa di tutti, quello scontro alimentò ancor di più la sua determinazione! Tant'è che il giovane smise di attendere l'occasione propizia... e se la andò a cercare.»

«E per una seconda volta lo ritrovarono in un fosso, gonfio di botte e con la vita appesa a un filo! Ma neppure questa disavventura riuscì a dissuaderlo. Altri guai ne seguirono. Altre percosse. Altre guarigioni. Ancora e ancora, finché un giorno accadde qualcosa di inatteso.»

«Alzur era scomparso per l'ennesima volta, costringendo i riluttanti nobili a mettersi alla ricerca del giovane su ordine delle loro signore. Quando lo raggiunsero, non trovarono un ragazzo pesto e sanguinante. Non questa volta. Era incolume. Se ne stava immobile in un vicolo secondario, sconvolto, a osservare i cadaveri carbonizzati di tre uomini impilati di fronte a lui.»

«Si scoprì che nelle vene del ragazzo scorreva il caos. Un grande potere, che fino a quel momento era rimasto sopito, finalmente si era scatenato. Poteva canalizzare la magia... ma non riusciva ancora a controllarla. E così la famiglia, temendo per la propria incolumità, richiese i servigi di un potente mago per aiutare il giovane ad attingere al suo potenziale. E ci riuscì. Sotto la guida del mago, Alzur divenne un incantatore abile e famoso, proprio la figura di cui stiamo parlando stasera.»

«Tuttavia, io credo che la sua infanzia in qualche modo lo influenzi ancora, e che lo spinga a compiere le virtuose imprese lette sui volumi della biblioteca. È come se fossero divenute parti integranti del suo io. Ecco perché quel giorno mi salvò e continuerà a farlo.»

«O, almeno, questo è quello che penso...»

Alcuni dei viandanti iniziarono a mormorare tra loro, producendo una serie di opinioni e congetture, ma si zittirono immediatamente quando si pronunciò Galanthea. «Interessante teoria.» Fece una pausa per riflettere, tamburellando sul suo calice. «Sono d'accordo. La fanciullezza riveste un ruolo importante nella nostra vita, ma non credo che Alzur fosse alimentato solo dalle virtù cavalleresche, no. Credo che sotto sotto ci fosse qualcosa di molto più potente. La cosa più potente che esiste al mondo...»

«E cosa sarebbe questa... cosa?» chiese il nano.

«L'amore.»


Capitolo 4


«L'amore?!?» sbraitò il mercante. «Mai sentito niente di più ridicolo! L'amore?!? Stiamo parlando di colui che ha massacrato mezzo esercito di Ellander, e solo perché poteva!»

«Certo che parlo di "amore", e per una buona ragione», ribatté Galanthea, pacata. «Lo tiro in ballo per via di qualcosa che scoprii la seconda volta che incontrai Alzur. La seconda volta che mi salvò. Due su due.» Galanthea ridacchiò. «Per un triste scherzo del destino, mi ritrovai... maledetta. Proprio così! Afflitta da un maleficio che, curiosamente, influenzò le mie abilità di trovatrice.»

L'halfling trasalì. «Ecco perché avevi appeso al chiodo il tuo violino!»

«No, no. Al contrario. La maledizione trasformava le mie semplici ballate in incantevoli melodie. L'effetto collaterale era che... ogni volta che aprivo bocca, ero costretta a esprimermi cantando in rima.» disse producendosi in un ampio sorriso.

Alcuni dei viandanti ridacchiarono divertiti, certi che stesse volando un po' troppo con la fantasia.

«All'inizio era meramente una cosa stravagante. Una stranezza comica. E i compensi per le mie prestazioni canore erano considerevoli, peraltro. Guadagni a parte, tuttavia, ben presto divenne un fardello. Un cantare eterno, ogni giorno. Anche quando volevo dire una misera parola, tutte le mie forze non bastavano a impedire che si trasformasse in un'intera strofa. Alla fine, mi imposi di cercare aiuto, soprattutto perché a volte era alquanto mortificante. Una volta mi trovavo a un funerale ed ebbi la pessima idea di chiedere dove potessi...» Le guance di Galanthea divennero rosse. «...espletare i miei bisogni fisiologici. Beh, ancora oggi provo una vergogna senza eguali.» Fece spallucce per scrollarsi il pensiero di dosso. «Passarono mesi senza che trovassi aiuto alcuno. Finché, il destino, astuto come sempre, decise di intervenire ancora una volta. E mi ritrovai nella stessa locanda di campagna in cui alloggiava un certo mago...»

«Parlai della mia situazione ad Alzur, certa che mi avrebbe dato una mano ancora una volta. E invece rifiutò. Mi disse che aveva questioni molto più importanti di cui occuparsi, e di andare a disturbare qualcun altro con certe baggianate. Ma non mi diedi per vinta. Non conosceva ancora la mia tenacia. E così gliene diedi una dimostrazione pratica... con tre interi giorni di canti. Tutte le ballate, le ninnenanne, i poemi e i cantici che mi venivano in mente. Provò a usare la magia per zittirmi, ma ovviamente fu inutile: la maledizione era implacabile. Alla fine, mi implorò di fermarmi e accettò di indagare sul problema, a patto che non ne parlassi con nessuno.»

«E tutto questo che c'entra con l'amore?» chiese il soldato.

«Ebbene, intraprendemmo un viaggio verso il paese dove scoprii la maledizione per la prima volta, sostando nelle locande lungo la via. Una sera, Alzur tirò tardi insieme alla gente del posto, bevendo e giocando ai dadi. Dovete capire che ai tempi ero molto... curiosa, così decisi di rovistare tra le sue cose. Trovai ogni genere di gingillo strano e meraviglioso, ma, da giovane fanciulla quale ero, uno in particolare attirò la mia attenzione: un medaglione a forma di fiore. Di giglio, a essere precisi. Feci per indossarlo, quando... Alzur entrò nella stanza.»

«Andò su tutte le furie, gridando e rimproverandomi energicamente. Rimasi di stucco. Ero confusa. Dopotutto, si trattava di un semplice gioiello. Non lo stavo certo rovinando!» disse Galanthea con un sorrisetto. «A quanto pare, il potere dei sentimenti mi era ancora ignoto. Pian piano il mago si calmò, e si scusò per la scenata. Si sedette davanti al camino, emanando zaffate di liquore. Fissò le fiamme, e la rabbia lasciò il posto alla tristezza. Poi accadde qualcosa di sorprendente: si confidò con me.»

«Mi spiegò di come aveva creato quel medaglione tanti anni fa per una persona... molto cara. Di come l'aveva incantato per tenerla al sicuro. "Lylianna", mi rivelò il suo nome sussurrando. Parlò di lei con passione, mescolando farneticazioni e ricordi tra i fumi dell'alcol. Da quanto riuscii a capire, questa lei era affascinata dall'idea di un mondo più sicuro, libero dalle mostruosità che si nascondono dietro ogni angolo. Una visione grandiosa, certo. E lei dedicò tutta la vita a questa missione. Vita che si rivelò alquanto breve, almeno per una maga.»

«Non raccontò di come morì. Si rifugiò invece in un lungo silenzio annebbiato, con gli occhi gonfi di dolore.» Galanthea fece una pausa per ricordare meglio. «Non usò mai la parola "amore", ma il modo in cui parlava di lei, il suo sguardo mentre snocciolava i ricordi... cos'altro poteva essere?»

«In effetti ha senso», ammise l'halfling. «Un attimo... Stai dicendo che lui ha continuato la sua opera dopo che lei è morta? È così, vero?»

«Sì, o almeno credo. Una promessa a un caro estinto può essere terribilmente difficile da infrangere.»

«Giusto!» Il nano balzò in piedi, rivolgendosi al mercante. «Ed ecco un altro motivo per cui salva la gente dai mostri! Ora sei soddisfatto? Ah!»

Il mercante non si curò di questo appunto. «Va bene, ma in che modo avrebbe continuato la sua "opera"? Un solo uomo, che ammazza bestie in ogni dove nel nome dell'amor perduto, non può avere un grosso impatto sul mondo. Dico bene?»

«Un solo uomo? Per gli dei, no!» rispose Galanthea con un sorriso diabolico. «Non un solo uomo...»


Capitolo 5


«...I witcher!» esclamò il soldato. «Sta parlando dei witcher!»

«Come, prego?» disse il mercante versandosi ancora da bere con disinvoltura da un otre di pelle di pecora.

«I witcher. O almeno, è così che ho sentito chiamarli.» Il soldato si grattò il mento irsuto. «Immagina: un mercenario con doti magiche. Veloce, resistente, forte, più di ogni altro uomo. Gira il mondo, da solo, uccidendo mostri in cambio di denaro.»

«Per me sono tutte baggianate.»

«Ah sì? Ma che vuoi saperne tu!»

«Hai detto "mercenari", giusto? Beh, conosco un tale che potrebbe dirci di più in merito.» Indicò l'uomo incappucciato seduto tra le ombre. «Ecco, lui è un mercenario. Anzi, meglio dire un tagliagole di città. Dico bene, Tagliagole?»

L'uomo incappucciato sputò per terra, facendo scoppiare il mercante in una grassa risata.

«Non è certo il più educato dei gentiluomini, bisogna ammetterlo, ma la sua reputazione di assassino lo precede. Avevo bisogno di qualcuno che mi accompagnasse, e così per qualche moneta mi faccio scortare da quello lì fino a Maribor sano e salvo. Un vero affare, dico bene?» Fa una pausa. «Ma sto divagando. Tagliagole! In qualità di mercenario prezzolato ed esperto, cosa ne pensi di questi "eccezionali ammazzamostri"?»

L'uomo incappucciato inclinò la testa e rifletté per un attimo prima di rispondere: «Un uomo uccide una bestia... e allora? Non c'è niente di eccezionale. Sono soltanto favole.»

«Che vi avevo detto?» esclamò il mercante con un sorriso beffardo stampato in volto. «Sono tutte fandonie!»

«No, no! Non è vero. Sono storie che ho sentito da uomini affidabili. E dicono tutti la stessa cosa. Secondo te mentono tutti? Sarebbe assurdo!»

«La menzogna corre veloce. Più della verità, a volte.»

Il soldato scosse il capo. «No e poi no.»

«Senti, non sto dicendo che questi tuoi amici non hanno visto uomini coraggiosi abbattere qualche bestia. Non metterei mai in dubbio la competenza di chicchessia. Ma questa storia dei "soldati magicamente modificati" è un'assurdità bella e buona. Suvvia, dovresti riconoscerlo. E anche se, anche se...» Il mercante balzò giù dal ceppo, raccolse un grosso sasso e lo scagliò contro un paio di ratti curiosi.

I roditori squittirono forte e si lanciarono a zampe levate nel sottobosco.

«Ora, dov'ero rimasto? Ah, sì. E anche se questi, questi... "witchcosi"...»

«Witcher! Te l'ho appena detto!»

Il mercante agitò le braccia. «Sì, sì! Witcher! Ammesso che esistano, come dici tu, ne avremmo davvero bisogno? I mostri sono una minaccia così grave? Certo, bisogna ammettere che ogni tanto ammazzano qualche malcapitato, ma di solito i più avveduti se ne stanno alla larga. Se ti allontani dalla strada battuta e finisci divorato in una qualche palude in mezzo al nulla, non sei certo sveglio.»

«Mi sembra un po' irrispettoso, e anche alquanto fuori luogo!» si indignò il nano.

«E invece è proprio calzante! Non hai l'oro per comprare un passaggio sicuro? E allora stattene a casa tua. Sei troppo povero o tirchio per investire in una buona scorta come ho fatto io? Allora, forse, è meglio se non gironzoli troppo per le campagne. Che poi, a pensarci bene, i mostri ci fanno solo un favore. Ci tolgono di mezzo i rifiuti della società. Sfoltiscono il gregge.»

Il soldato digrignò i denti, reprimendo la rabbia. «E cosa ti renderebbe tanto diverso dagli altri?»

«Non hai sentito? O forse sei un po' sordo?» Fece un cenno con la testa a Tagliagole, che ora passeggiava ai margini dell'accampamento. «Come ho detto, ho un eccellente senso di autoconservazione e sono dunque pronto a tutto.»

«Allora ti conviene essere pronto a qualche schiaffo, razza d'insolente», lo minacciò il nano.

«Zitti!» bisbigliò Tagliagole. Era immobile, con lo sguardo rivolto verso il buio oltre la luce del falò, fisso su qualcosa. «Abbassate la voce. Non è bene fare baccano a quest'ora.» Con la mano sull'elsa della spada, si allontanò.

«Scusa tanto», disse il mercante, «ma dove credi di andare? Tagliagole?» E Tagliagole scomparve nel nero inchiostro della notte senza proferire parola.

«Ha ragione», disse Galanthea. «Si è fatto tardi, e poi le mie vecchie ossa hanno bisogno di riposo.» E così si diresse verso la sua tenda. «Domani ci attende una lunga giornata.»

«Già», concordò il nano dando un ultimo sorso alla sua birra. «Lunghissima.»

Dopo meno di un'ora, il gruppo dormiva profondamente... compresa la sentinella di turno...

...Mentre lì vicino, tra le ombre, luminosi occhi rossi balenavano sotto la pallida luce della luna.


Capitolo 6


Un gran russare collettivo risuonava per l'accampamento, accompagnato dal dolce crepitio del falò che andava spegnendosi. Nel cielo, la luce della luna piena fece capolino dalle nuvole, irradiando il mondo sottostante con un bagliore spettrale.

Una delle tende si agitò. Il mercante sbucò dall'apertura frontale, ancora sonnolento. Puntò la sagoma di un enorme albero sul perimetro e vi si diresse, passando tra i viandanti che dormivano rannicchiati attorno al fuoco.

Individuato un angolino lontano da occhi indiscreti, si slacciò le braghe e si accinse a espletare il suo bisogno...

SQUIIIT!

Il mercante fece un balzo indietro, urinandosi sui piedi e orientandosi verso l'origine di quel verso. «Maledizione!»

Su un vicino ceppo c'era un ratto, con lo sguardo fisso sul mercante. L'animale batté i denti, imitando una specie di risata.

«Piccolo bastardo!» inveì il mercante, che rispose allo spavento bombardando il roditore con una sassaiola. «Sciò!»

Il ratto, incurante dei sassi, non si mosse di una virgola, mantenendo la sua aria di sfida.

«E va bene!» dichiarò il mercante dandosi un'occhiata attorno. «Adesso ti faccio vedere io, piccola canaglia... Ah, ecco qua!» L'uomo raccolse una grossa pietra e puntò l'animale. «Poi... non... dire... che... non... ti... avevo... avvertito... AH!» Scagliò il pesante proiettile e il roditore finalmente balzò via, nascondendosi in un cespuglio.

«Ah, ah!» esclamò il mercante con un sorriso compiaciuto. «E che ti serva di lezione...»

SQUIIIT! SQUIIIT!

Il mercante trasalì. Dietro di lui c'era un intero branco di ratti.

«Ma cosa diavolo...»

SQUIIIT! SQUIIIT! SQUIIIT!

Altri ratti sbucarono dai cespugli, circondandolo.

«M-ma... m-ma... c-c-cosa...» balbettò.

I roditori lo fissavano con un mare di occhietti rossi che brillavano sotto la luce della luna.

«Tagliagole?» sussurrò. «Tagliagole? D-d-dove sei...»

Lentamente, un'ombra avviluppò l'area, oscurando la luna mentre si allargava sopra il mercante. Tremante, l'uomo si voltò. «Tagliagole?» chiamò di nuovo, ma al posto del suo accompagnatore vide due grandi occhi scarlatti che lo fissavano dall'alto, delle enormi fauci e un paio di lunghi incisivi grondanti putrida saliva.

Il mercante emise un urlo di terrore, che si interruppe bruscamente quando gli venne squarciata la gola.

Un esercito di ratti travolse l'accampamento, e i viandanti si fiondarono fuori dalle tende e dai giacigli, gridando in preda al caos.

Qualcuno lanciò un urlo quando il torace smembrato del mercante precipitò al centro dell'accampamento. Poi, un irsuto colosso comparve dalle ombre: una creatura ripugnante, con muscoli esposti e carne sfregiata. Emise una specie di ruggito, facendo vibrare le fauci sovradimensionate, e con un rapido gesto scagliò nel buio della foresta un nano che gli si stava lanciando addosso.

Lo sguardo del roditore gigante scorse l'accampamento, per infine posarsi su Galanthea, che stava uscendo dalla tenda in stato confusionale. La bestia digrignò i denti, poi le si precipitò contro, incedendo incerta ma potente.

ZAC!

Un dardo di balestra si conficcò nella spalla del mostro. L'essere strillò e strappò via la piccola asta di legno, serrando ferocemente le fauci mentre cercava di capire da dove fosse partito.

TUD!

Un altro dardo, stavolta nel torace.

«State indietro!» gridò Tagliagole sbucando dagli alberi e lasciando la balestra in favore della spada. Mentre la brandiva, pronto a colpire, la lama aveva una luminescenza argentea.

La bestia ruggì di rabbia e si lanciò alla carica contro l'uomo. In tutta risposta, Tagliagole alzò la spada e si preparò all'impatto. All'ultimo istante, con una piroetta, si spostò alla sinistra del mostro e gli sferrò un colpo sulla schiena, sollevando una nuvola di sangue che attraversò l'accampamento.

Ne seguì una sequela ipnotica di affondi, finte e contrattacchi, accompagnati da schizzi di sangue e ululati lancinanti, mentre l'uomo dominava agilmente il combattimento, affondando la lama con precisione chirurgica.

Soccombendo alle troppe ferite, l'abominevole roditore gemette, cadde sulle ginocchia e crollò in avanti sul terreno, in una pozza del suo sangue.

L'uomo sollevò la spada, pronto a sferrare il colpo di grazia.

Uno degli astanti trasalì, quando il braccio del mostro, all'improvviso, scattò e con la mano afferrò l'avversario per la gola. La bestia, sbuffando, si rialzò e sollevò l'uomo verso il cielo. Le ferite che aveva subito cominciavano a richiudersi, risanando muscoli, tendini e pelle. All'uomo cadde di mano la spada, mentre si divincolava in balia di quella mano pelosa.

Gli spettatori osservavano impietriti, mentre assistevano all'inevitabile disfatta di Tagliagole. E invece, in un attimo che lasciò tutti a bocca aperta, lo spadaccino allungò la mano verso il ripugnante muso della creatura e fece un gesto peculiare.

Dal palmo dell'uomo scaturì una fiammata, che travolse la bestia con un inferno di fuoco, squagliandogli il muso e lo sterno. L'essere prese a ululare violentemente, tenendosi il muso dal dolore e lasciando cadere l'uomo a terra, e indietreggiò barcollando.

In un lampo, Tagliagole estrasse dalla tasca una sferetta di cuoio dotata di miccia, la accese con uno schiocco di dita e la lanciò ai piedi del bestione gemente.

La miccia raggiunse la bomba con una scintilla...

BOOM!

Il ratto mannaro esplose in un tripudio di pezzi di carne e ossa bruciacchiati.

I viandanti rimasti, lordi di sangue e interiora, erano esterrefatti.

Tagliagole si chinò sul cadavere martoriato del mercante, rovistò nella sua borsa e prese una piccola bisaccia. Lanciò uno sguardo ai volti attoniti dei presenti, fece spallucce e si intascò l'oro.

Stupefatto, il soldato balbettò puntando un dito tremante verso l'uomo incappucciato, poi disse una sola, unica parola... «Witcher.»


Capitolo 7


I raggi del sole battevano sulla carovana itinerante che avanzava lungo la polverosa strada che conduceva a Maribor. Galanthea se ne stava seduta sul retro di uno dei carri in coda, intenta a studiare il witcher che stava avvicinandosi lentamente a cavallo verso di lei.

Quando fu a portata, lo accolse con un sorriso cordiale e disse: «Hai la mia più sentita gratitudine per quanto hai fatto la notte scorsa.»

Il witcher si accigliò, quasi risentito per il complimento, ma lo accettò riluttante e replicò con un cenno del capo.

Un pensiero attraversò la mente di Galanthea, che non poté fare a meno di ridacchiare. «Si potrebbe dire che, in qualche modo, Alzur mi ha salvata ancora.»

Il witcher contrasse la mandibola e spalancò le narici.

«C'era qualcosa che volevi dirmi, caro?» chiese lei. «Scommetto che non sei qui solo per crogiolarti nei miei complimenti.»

L'uomo fece una pausa per radunare i pensieri. «Ma almeno l'hai conosciuto, Alzur?»

«Oh, l'ho conosciuto molto meglio di tanti altri.»

«E allora perché tutte quelle fandonie?» chiese il witcher scrocchiandosi il collo. «Ieri sera stavi proprio delirando. O magari sei semplicemente cieca...»

Galanthea sorrise. «Non sempre la verità è universale, ragazzo mio. A volte è solo una questione di prospettiva.»

Il witcher borbottò qualcosa, poi tornò in silenzio. Ma a un certo punto, scosse il capo, frustrato. «Ma quale amore!» la incalzò. «Se avesse avuto a cuore il prossimo, non avrebbe fatto... quello che ha fatto. E che di certo ancora sta facendo.»

«Se senti il bisogno di dire qualcosa, fallo e basta.» rispose Galanthea scrutando l'uomo e lasciandosi andare a uno sbadiglio. «Come puoi immaginare, ieri notte non ho dormito un granché, e mi si stanno chiudendo gli occhi. Ma finché sono sveglia, approfittane. Sono tutt'orecchi.»

«Ma hai la minima idea di come Alzur e i suoi lacchè creino i witcher?»

«Non con l'amore, ne deduco...»

«Prendono i bambini dalla strada. Pagando i genitori, se necessario. Farebbero di tutto pur di avere sempre cavie fresche. E devono essere giovani. O almeno così ci dicevano. Cosimo, il mago anziano, quel bastardo con la barba bianca, si riempiva sempre la bocca di una parola in particolare: malleabilità. Lui e Alzur si riferivano a noi come tavolette di argilla morbida, pronte per lo stampo. Niente di più eravamo, per loro. Dopo aver vissuto per tanti anni, dicevano, la vita ti presenta il conto. E l'argilla... si assesta. Si indurisce. Provare a plasmare un uomo fatto e finito è impossibile, perché si scheggia, si spezza. Perciò, i bambini sono gli unici candidati idonei alle mutazioni. O, almeno, quelli che hanno qualche possibilità di sopportarle. I più, comunque, si spezzano lo stesso.» Il witcher fissò Galanthea, valutando la sua reazione. «Molti dei bambini che conoscevo ora giacciono in una qualche fossa comune.»

La donna evitò il suo sguardo, preferendo concentrarsi sui pascoli lungo la strada.

«Già. I bambini morti non sono i protagonisti migliori per una ballata.»

Si voltò di nuovo verso il witcher, ma restò in silenzio, con gli occhi curiosi.

«Seppellirli era compito nostro. Avevano il corpo martoriato e il volto irrigidito in una smorfia di dolore, con impresse le loro ultime urla. La verità è che i fortunati erano loro. Il resto di noi poveri altri doveva sopportare le varie "prove" di Alzur, come le chiamava lui. Come se fossero imprese eroiche che avevamo scelto di affrontare, per dimostrare il nostro valore. Come se avessimo scelto noi di attraversare l'inferno per compiacere quel maledetto.»

«Tu sostieni che agisca per un mondo migliore. Tutte fesserie. Lo fa solo per se stesso. Vanagloria. Aiutare gli altri è... un effetto collaterale. Certo, ogni tanto dava prova di una grande compassione... quando gli sguardi erano tutti puntati su di lui. Come quando quegli stolti che avevano finanziato i suoi sordidi progetti venivano a trovarlo. E che bel teatrino organizzava per i suoi amici aristocratici! Quando c'era da farci sfilare come fenomeni da baraccone, era davvero ospitale. Sempre lì a pavoneggiarsi per i propri successi, per la sua intelligenza. "Ammirate cosa il grande Alzur ha preparato per lor signori". Infame arrogante.» Il witcher sbuffò, per poi continuare. «Poi quando i suoi finanziatori se ne andavano, soddisfatti del loro investimento, lui tornava immediatamente alla sua fredda indifferenza. Si rinchiudeva nella sua torre, per riemergerne solo alla prova successiva, non di certo un'occasione lieta. Eravamo solo i mezzi per arrivare al fine di quel bastardo. Un modo per consolidare la sua reputazione. Garantire il suo retaggio.» Lo sguardo del witcher si levò verso l'orizzonte mentre rifletteva. «Semplice argilla pronta a essere plasmata nelle sue mani.»

Per un attimo, nessuno dei due parlò.

«Una vicenda interessante, witcher» ruppe il silenzio Galanthea, con un sorriso compiaciuto. «Hai mai pensato di fare il cantastorie?»

«Scherza pure, ma la verità è questa. Altro che prospettiva.» Sputò per terra, poi aggrottò di nuovo la fronte al ricordo del suo doloroso passato.

Gli occhi di lei indugiarono sul witcher mentre proseguiva di fianco al carro, assorto nei pensieri.

«Sai...» Fece una pausa, ponderando le parole. «Sono davvero grata che tu fossi con noi, ieri notte. Volevo che lo sapessi.»

Il witcher esitò, poi annuì. «Dovrei portarmi avanti. Non vorrei che ci fossero sorprese in agguato.» Allontanò i ricordi, poi prese le redini del cavallo. «Buon riposo.» tagliò corto, e galoppò via.


Capitolo 8


Galanthea se ne stava sdraiata sul retro del carro a fissare il cielo terso. Sbatteva piano le palpebre, con gli occhi sempre più pesanti, mentre ascoltava il trottare ritmato dei cavalli.

In cielo, uno stormo di uccelli volteggiava in cerchio nell'immensità azzurra sopra di lei. A un certo punto, uno di essi emise un verso agghiacciante. La donna, spinta da un inquietante dubbio, li guardò meglio, e si accorse che non erano affatto i pennuti che credeva. Ali ampie e lacere sbattevano a intermittenza, e lunghe code squamate le seguivano. I terrori volanti si gettarono in picchiata, pronti a colpire la carovana. Ma all'improvviso, uno di essi lanciò un urlo di dolore, esplodendo in un tripudio di budella. Poi un altro, e un altro ancora. Un torrente di sangue e pezzi di carne piovvero sui viaggiatori.

La voce di Alzur riverberò tutt'intorno. «Non temere, piccola. Sei al sicuro.»

L'acquazzone cremisi si fece limpido, e proseguì nel suo percorso abbattendosi violento contro l'esterno di un municipio. Un caldo bagliore si irradiava dalle sue finestre.

All'interno, figure emaciate tossivano e rantolavano mentre si raggomitolavano assieme. Uomini, donne, bambini, tutti tremanti e agonizzanti. Un individuo nerovestito con indosso un soprabito cerato e una maschera a becco passava tra i cadaveri, toccandoli con un bastone.

Sopra un palco improvvisato fatto di casse, una giovane Galanthea, vestita da mascolino trovatore, suonava il violino e intonava un lieto canto per il pubblico disperato. I loro occhi scavati brillavano, e qualcuno dei moribondi riusciva persino ad abbozzare un sorriso nell'agonia.

Una voce stridula e roca irruppe sulla scena. «Oh, povera, piccola creatura. Questo morbo... è dentro di te. Ha messo radici.»

Galanthea smise di suonare e abbassò lo strumento, sgranando gli occhi. Una congrega di cadaveri le era seduta davanti, i loro corpi avvizziti e nudi. Ognuno indossava una maschera a becco. Uno dopo l'altro cominciarono a gracchiare, sempre più forte. Una sinfonia di roche melodie sconnesse riempiva l'ambiente.

Le candele si spensero, gettando la stanza in un inquietante silenzio nero pece.

«La morte incombe e la tua luce si affievolisce.» Due occhi guizzarono nel buio. «Ma non temere, figlia mia, poiché la vecchia Thelma può curare il tuo malanno.»

Le fiamme di un focolare si accesero di colpo, illuminando il salone di una piccola capanna. Una serie di gingilli e cianfrusaglie era accatastata per tutta la stanza, e scaffali e contenitori ospitavano una miriade di corvi, che gracchiavano e saltellavano qua e là.

La giovane Galanthea, scarna e pallida, sedeva di fronte al fuoco, osservando la vecchia signora vestita di piume nere dall'altra parte delle fiamme.

«Un giuramento devi fare, la tua canzone devi intonare.» Il suo ghigno era rivolto alla giovane trovatrice. «E la vecchia Thelma ti garantirà la vita.» Poi rise sotto i baffi.

Le fiamme del focolare divamparono, cominciando a divorare il pavimento in legno e ad arrampicarsi sulle pareti e consumando tutto.

Al centro di un boschetto isolato, una capanna bruciava violentemente. Un urlo lacerante squarciò quell'inferno di fuoco. «Figlia! Che cos'hai fatto?!?»

Galanthea si trovava nel boschetto, a guardare l'infuocata distruzione attraverso occhi umidi.

La voce di Alzur echeggiò in ogni dove. «Annuisci, Fiocco di Neve, e non pensarci più.»

Una mano strinse la sua spalla. Si voltò e vide Alzur accanto a lei, con il volto e il petto lordi di sangue. Le si inginocchiò davanti, e un ghigno malevolo tracciò il suo volto. «Due su due.» Ed egli ridacchiò.

Il fuoco devastò il boschetto.

I terribili lamenti si innalzarono...

Galanthea spalancò gli occhi e si mise a sedere di scatto, madida di sudore.

Mentre riprendeva fiato, si guardò attorno e notò che la carovana si era fermata.

Qualcuno vicino a lei stava discutendo animatamente. Una voce stridula. «Non vogliamo problemi, capito?!? Levatevi... toglietevi dai piedi!»

Saltò giù dal carro e si accorse che avevano accostato nei pressi di una locanda, a un crocevia. Su un'insegna di legno vi era impresso "La Doppia Croce".

Galanthea girò intorno alle retrovie del convoglio e capì che la carovana era circondata da una banda sgangherata di uomini e donne vestiti da contadini, armati di spade arrugginite, falci e forconi. Al centro, una donna longilinea brandiva una balestra tesa. La stava puntando, tremante, contro il soldato.

Il soldato fece un passo avanti verso di lei. «Suvvia, non essere sciocca». Fece un altro passo, forse con piglio troppo aggressivo. «Guarda che non devi...»

ZAC.

Un dardo si conficcò nel ginocchio del soldato. Questi emise un gemito di dolore e afferrò istintivamente l'asta della freccia. Dopodiché, crollò a terra. «Maledetta bastarda!»

«Ti... ti... ti avevo avvertito!» rispose la donna balbettando, poi rivolse lo sguardo agli astanti. «E voi non fate mosse azzardate, altrimenti... vi faccio vedere io!» esclamò nervosamente mentre provava maldestramente a incoccare un altro dardo nella sua balestra. «A qualcuno non sta bene?»

Nessuno dei viandanti rispose.

«Bene!» La donna fece un cenno a uno dei suoi. «Portateli dentro.»


Capitolo 9


«Ma guarda che situazione» si lamentò il nano mentre accendeva un'altra candela e la metteva sopra un barile nell'angolo della cantina.

«Fai attenzione con quelle fiammelle», lo avvertì l'halfling. «Altrimenti va a finire che dalla padella cadiamo... beh, ci siamo capiti.»

«Non preoccuparti. Ho le mani solide come la pietra.» Ne accese un'altra e la mise su uno scaffale. «Da quanto tempo sei qui sotto?» chiese al locandiere, che era seduto su un barile.

«Oh, non da molto. Qualche giorno, forse.» Il locandiere passò in rassegna tutta la compagnia di viandanti. «Siete i primi che hanno...»

«Rapinato?» concluse il nano.

«Beh, mi dispiace. Non prendetela sul personale. Non sono dei veri e propri briganti. Conosco la maggior parte di loro. Contadini e manovali del posto. Ma... con questa siccità che non vuole saperne di finire, la gente si è trovata alle strette. È disperata. E così... improvvisa.»

Il soldato si lamentò mentre Galanthea gli stringeva i bendaggi attorno al ginocchio sanguinante.

Della polvere cadde dal soffitto quando dei passi sordi fecero vibrare le assi sopra le loro teste, accompagnati da voci smorzate.

«Mi spiace per il vostro amico. Sono certo che sia stato un incidente.»

«Non fa niente. Starà bene. Vero, amico?»

Il soldato sbuffò.

«Ma mi sa che la tua carriera da soldato è finita.» ridacchiò. «Ti toccherà ripiegare sul servizio di guardia. Eh, eh!» sorrise beffardo mentre accendeva una lampada a olio, illuminando un enorme dipinto appeso alla parete. Rappresentava un immenso campo di battaglia. Da una parte, stendardi bianchi e neri in trionfante celebrazione. Dall'altra, un'armata che stava per essere colpita da una pioggia di fuoco dal cielo. Tra i vincitori, un mago dall'aspetto illustre alzava le mani, fiero, circondato da rune luminose.

«L'ultima battaglia della Guerra Eterna», spiegò il locandiere. «Il dipinto si chiama "La Doppia Croce di Alzur"... Dal momento che molti viandanti di Ellander passavano dalle nostre parti, ci è sembrato di cattivo gusto tenerlo esposto nel salone principale. Così l'abbiamo riposto qui sotto.» Ridacchiò. «Ma riguardo al nome della locanda c'è ben poco che si possa fare.»

«Allora è vero?» chiese l'halfling. «Alzur usò la magia per annientare un esercito?»

Il nano avvicinò la lampada al dipinto. «Pare proprio di sì.»

Altra polvere cadde dal soffitto quando qualcuno si spostò di sopra. Le voci indistinte divennero più intense.

«Avete sentito parlare di lui? Di Alzur?» chiese il locandiere.

«Abbiamo giusto sentito qualche aneddoto.» Il nano passò la luce sull'esercito in fiamme, con i soldati in fuga che urlavano mentre morivano bruciati. «Non gli ha lasciato scampo.»

Il locandiere scese dal barile e si diresse verso il quadro. «Dal dipinto non si vede, ma si dice che avesse aperto un portale. Da cui evocò qualcosa di tremendamente potente da... beh, credo da un altro mondo. La gente racconta di come il cielo si squarciò e una tempesta di fuoco si abbatté sul suolo. Ma non fu opera di un drago o roba simile. Era qualcosa di ben peggiore...» Si stuzzicò i baffi. «Qualunque cosa fosse, distrusse l'intero esercito. Una sconfitta totale. I sovrani di Ellander furono ovviamente costretti ad arrendersi. L'indomani, cedettero il trono di Vizima al Duca di Maribor. E la Guerra Eterna ebbe fine.»

«Non è giusto», criticò il nano, fissando attonito il dipinto. «Così non vale. Le battaglie dovrebbero essere combattute con onore, in uno scontro alla pari. Non con queste baggianate soprannaturali. Quegli uomini non meritavano di morire così.»

«Non hai tutti i torti» concordò l'halfling.

«Lo fece...» disse Galanthea mentre alzò lo sguardo dal soldato, con gli occhi cupi «...per salvare vite.»

Il nano scoppiò a ridere. «Certo, certo. E io defloro fanciulle per spirito di castità!»

«No, no, ha ragione lei», replicò il locandiere. «La Guerra Eterna fu un gran brutto affare. Il sangue scorse a fiumi per generazioni, per entrambi gli schieramenti, affinché l'uno o l'altro duca sedessero su un trono un po' più grande.»

«Sì, questo lo so, ma... perché durò così a lungo?» chiese il nano.

«Beh...» Il locandiere tornò a sedersi sul barile. «I due eserciti avevano pari forza, così erano in stallo perenne, sempre in bilico tra la vittoria e la sconfitta. E quell'equilibrio manteneva viva la speranza di vincere la guerra, prima o poi. Nessuno dei due duchi si sarebbe mai tirato indietro... e neppure i loro figli... e i figli dei loro figli. Avrebbero continuato a mandare i loro uomini al macello, ancora e ancora... per dovere, onore, orgoglio... o per le altre menzogne che i nobili dicono ai sottoposti per giustificare il sacrificio. E "sacrificio" è un eufemismo. Da queste parti, è difficile trovare una famiglia che non abbia perso diversi antenati per quella maledetta guerra.»

Il nano scosse il capo solennemente.

«Senza l'intervento di Alzur», concluse il locandiere «chissà per quanto ancora quella strage sarebbe andata avanti...»

Il nano si accigliò. «Certo, ma non mi pare comunque giusto. Perché immischiarsi nelle questioni altrui?»

«Immischiarsi nelle questioni altrui...» Galanthea sorrise «...è quello che gli viene meglio.»

Qualcuno al piano di sopra emise un grido raggelante.

TUD!


Capitolo 10


Il witcher riemerse sulla strada polverosa...

Fortunatamente per la carovana, ad attenderla nei campi circostanti non vi era che una lunga serie di carcasse di animale consumate fino all'osso. Vittime della siccità, sospettò. Povera gente.

Stava per raggiungere la locanda al crocevia. A quell'ora, la carovana avrebbe dovuto essere già arrivata e tutti si sarebbero fermati per la notte. Dopodiché, ancora mezza giornata di viaggio e sarebbero arrivati a Maribor. Si accigliò, pensoso. Perché spingersi oltre se tanto aveva già riscosso la ricompensa? Il suo cliente era morto, e non aveva più alcun obbligo. Non professionale, almeno...

Si schiarì la gola e sputò per terra. Era un modo come un altro per ammazzare il tempo, concluse. Per distrarsi...

Mentre si avvicinava alla locanda, riconobbe i cavalli e i carri nel cortile antistante, come previsto, ma c'era qualcosa che non andava...

Avvicinandosi con cautela al trotto, notò delle impronte confuse dall'alto della sua sella, così smontò e si accovacciò per guardare meglio. Iniziò a sospettare che fosse avvenuto uno scontro di qualche tipo. Ma la conferma arrivò quando rinvenne alcune macchie di sangue secco. «Maledizione», imprecò.

Il witcher ordinò al cavallo di non muoversi e si avviò verso la locanda.

All'esterno, un uomo corpulento con indosso una sudicia tunica gialla se ne stava seduto chino su una panca a giocherellare con un pugnale. Quando il witcher si avvicinò, lo fulminò con lo sguardo, si tirò su e gonfiò il petto. «Spiacente, amico. Siamo chiusi.»

Il witcher ignorò la frase e proseguì. L'uomo, che aveva un aspetto non molto intelligente, si mise davanti alla porta. «Cerchi rogne? Ti ho appena detto che siamo...»

Senza battere ciglio, il witcher lo colpì al plesso solare con un pugno, stendendolo al tappeto. Disorientato, il bestione rimase a rotolarsi per terra, annaspando.

Il witcher ordinò all'uomo di non muoversi ed entrò nella locanda.

Dentro, trovò la sgangherata banda di briganti tutta attorno ai tavoli, intenta a trafficare con la merce rinvenuta sulla carovana. Il mormorio delle conversazioni dei banditi si tramutò in silenzio all'ingresso del witcher, che attirò immediatamente lo sguardo di tutti.

«Dove sono?» chiese il witcher, calmo e composto.

Ripresasi dalla sorpresa, la donna longilinea afferrò la balestra dal tavolo.

«Io non lo farei...»

Il witcher alzò gli occhi al cielo mentre la donna si affrettava nel panico a caricare l'arma e incoccare un dardo. «Chi... chi diavolo sei?» domandò lei.

Si sgranchì il collo e mise la mano sull'elsa della spada. «Dove sono?»

La donna lo guardò torvo, poi fece un cenno agli altri, a ordinare di sparpagliarsi e accerchiare il witcher.

«Cosa sperate di fare? Barricarvi qui a rapinare viandanti? Per quanto pensate che durerà, eh? Prima che mandino le guardie a mettervi il cappio al collo, s'intende...»

«Nah... sono troppo occupate con i disordini in città. La siccità ha creato un clima di anarchia. Non verranno qui. Non così presto. E adesso, ti consiglio di andartene se ci tieni alla pelle.»

Il witcher inclinò la testa, ascoltando con attenzione. «Mmm...» Sentì delle voci soffocate provenire dal pavimento. «E allora perché li avete catturati? Perché non rapinarli e basta, per poi lasciarli andare liberi per la loro strada? Non è più semplice?»

«Beh, perché... per... perché», balbettò la donna guardandosi attorno cercando le parole. «Non... non sono affaracci tuoi. Ecco perché.» Impugnò la balestra con più forza. «Ultimo avvertimento, te lo giuro.»

«Vi consiglio fortemente...» li avvertì il witcher stringendo la presa sull'elsa della spada «...di rassegnarvi e tornarvene a casa.»

La donna sbatté le palpebre rapidamente, riflettendo, poi appoggiò il dito sul grilletto.

«Non farlo», l'avvertì il witcher preparandosi.

La donna spalancò gli occhi. Aveva deciso.

Il witcher sguainò la spada.

TWANG!

Il dardo era stato scoccato.

Con un movimento fluido, l'uomo intercettò il proiettile a mezz'aria con il piatto della lama.

CLANG!

Il dardo deviò e centrò uno dei membri della banda dritto nella gola. L'uomo annaspò disperato, soffocando nel suo stesso sangue, poi crollò a terra gorgogliando. La donna lanciò un urlo, sconvolta, e la balestra le cadde dalle mani.

Calò il silenzio, e il witcher fissò gli altri banditi improvvisati, accigliato. «Qualcun altro?»

I membri della banda abbassarono subito le armi e mostrarono i palmi delle mani aperte in segno di sottomissione, tremanti. Un uomo vestito di stracci lo implorò. «Vi... vi prego, signore.»

Il witcher rinfoderò la spada, incurante. «E adesso levatevi di torno.»

La banda, cautamente, si avviò verso la porta con gli occhi fissi sul witcher. Giunti sulla soglia, gli sgangherati banditi si precipitarono fuori inciampando gli uni sugli altri.

Il witcher abbassò lo sguardo sulla pozza di sangue che circondava il malcapitato. Sospirò, poi fece schioccare la lingua. «Ti è andata proprio male...»

Ispezionò la stanza e trovò un'enorme botola in un angolo.

Una voce furtiva provenne da sotto. «Witcher?»

Il witcher aprì la botola e vide Galanthea ai piedi di una scala di legno, che guardava verso di lui. Finalmente scorgendolo, sorrise e annuì grata.

Il witcher la fissò per un momento, poi si lasciò sfuggire a sua volta un impercettibile sorriso. «Due su due.»


Capitolo 11


In cima a una collinetta che si ergeva di fianco alla locanda, il witcher era intento a spalare via l'ennesimo mucchio di terra per la fossa che stava scavando. Per un attimo, tornò al castello di Alzur, ai tempi in cui seppelliva i corpi mutilati dei suoi fratelli caduti. La voce del mago riecheggiava nella sua testa: "Una vicenda spiacevole, me ne rendo conto. Ma così va fatto, ragazzo mio. Così deve essere fatto!" Chiuse gli occhi per allontanare il ricordo, e riprese a scavare.

Nelle vicinanze, Galanthea se ne stava seduta su una panca ricavata da una quercia abbattuta. Osservava intensamente il witcher sporco di terriccio. «Forse avrebbe preferito una pira...»

Il witcher la squadrò di traverso. Lei sorrise ammiccante.

«Certo che sei proprio un cavaliere senza macchia e senza paura!»

Il witcher conficcò la vanga nel terreno con un grugnito e ricavò un altro mucchio di terra.

«Forse dovrei dissotterrare il mio violino... e comporre un'epica ballata sulle tue imprese.»

Il witcher sbuffò.

Galanthea rifletté per un attimo. «Ovviamente dovrei trovare parole adatte che facciano rima con "witcher"...» Fece una pausa. «Oppure con... "Madoc"...»

Il witcher si fermò di colpo, poi alzò lentamente lo sguardo verso di lei.

«Parlava così bene di te. Sai, l'ultima volta che ci siamo incontrati.»

Il witcher uscì dalla fossa, gettò a terra la vanga e si diresse a passi lunghi e aggressivi verso Galanthea. «Ah, adesso vuole impicciarsi nei miei affari? Seguirmi? È così? E tu chi saresti? Il suo fedele cagnolino?»

«Non sono il cagnolino di nessuno, mio caro. Fu il destino a farci incontrare. Ma nell'esatto istante in cui ti ho visto... beh, ho capito chi avevo davanti.»

«Balle!» Madoc si cimentò in una finta risata. «Un classico! Se non ha sotto controllo tutto non è contento!» continuò, con tono di disprezzo. «Ha bisogno di muovere i fili come un maledetto burattinaio!» Si scrocchiò il collo. «Dunque? Ti ha mandato per ammorbidirmi? Per convincermi a tornare in ginocchio da lui? Beh, può scordarselo. Non è più roba che mi compete. E non lo è mai stata. È una maledetta farsa! Sono solo un assassino, un tagliagole buono a nulla. E tanto mi basta.»

Galanthea lo lasciò sfogare, poi inclinò il capo. «Oh, Madoc... perché devi mentire così a te stesso?» Sorrise. «Forse sei solo scottato. O totalmente cieco...»

Madoc iniziò a ribollire di rabbia. «Non osare...»

Gli occhi di lei si fecero grevi. «Devi sapere che lui vuole davvero...»

«Al diavolo!»

«Sei molto speciale per lui. Non ne hai idea. Perfino dopo tutto questo tempo. Sai, sei uno dei primi...»

«Non sono il suo animale da compagnia, il suo giocattolino.»

«No, certo che no...»

«Deve farla finita, maledizione!»

Galanthea fece una pausa, ponderando le parole. «Sì, hai proprio ragione. Deve farla finita con parecchie cose. E anche tu.» Guardò Madoc, poi gli fece un cenno indicando il suo fianco. «Vieni, siediti con me.»

Il witcher serrò la mascella, frustrato. Poi, riluttante, cedette alla proposta e si accomodò sulla panca.

«Passi parecchio tempo a rimuginare, vero?» chiese lei. Lui non rispose, finendo solo per confermare i suoi sospetti. Galanthea proseguì, cimentandosi in un'imitazione del witcher: «"Oh, povero me! Sono un mostro, uno scherzo della natura! Che io sia maledetto!" Piagnucolone!»

Madoc sgranò gli occhi, spiazzato dal suo tono.

«Cresci, ragazzo mio, e fattene una ragione.»

Lui le lanciò un'occhiataccia, poi volse il suo sguardo verso la distesa erbosa.

«Ho sempre evitato la domanda sul motivo per cui ho smesso di essere un bardo. Vuoi sapere perché?» Non aspettò la risposta. «Perché è una storia poco interessante. Niente incredibili avventure, niente momenti magici, niente gran finale. Solo... una semplice verità, banale per i più. Vedi, io non ho mai voluto essere un bardo. Fu una specie di obbligo autoimposto. Per onorare la memoria di coloro da tempo scomparsi. Per decenni ho cantato agli sconosciuti, suonando quel maledetto violino... miserabile e irrealizzata. Spinta dal senso di colpa. Sopravvivere quando agli altri viene negato può essere... un fardello molto pesante. Ma ovviamente questo lo sai meglio di me...»

Il witcher borbottò qualcosa.

«Mi stavo semplicemente privando di una vita soddisfacente, per una futile causa nata dalla penitenza.»

«Scelta tua», mormorò il witcher.

«Certo. E mi ci è voluto tanto di quel tempo per capirlo. Non puoi permettere al passato di stabilire il tuo futuro. Significa sprecare la vita, restare prigionieri dei morti e dei sepolti. Perfino Alzur, nonostante la sua intelligenza e la sua longevità, non l'ha ancora capito. È ossessionato da un tempo ormai passato, un tempo che non riesce a levarsi di dosso. Ma la scelta è solo sua. E tu, Madoc, hai la tua.» Fece una pausa. «Alzur non è colui che ti plasma, mio caro. Ed è così da un pezzo...»

Madoc restò in silenzio, immerso nei pensieri.

«Hai attraversato l'inferno. Comprendo il tuo dolore, davvero. Ma non commettere l'errore di pensare di avere il monopolio sulla sofferenza. Al contrario, ti trovi in una posizione privilegiata. Molti, più che vivere, sopravvivono, senza neanche la certezza di arrivare a fine giornata. Privati di qualsivoglia ambizione. E poi... PUF! Muoiono. Ed è come se non fossero mai esistiti. Ma tu, tu puoi visitare luoghi e fare cose che molti di noi possono solo immaginare. Puoi compiere imprese incredibili, rendere il mondo un posto migliore ed essere ricordato per questo. Rinunciare a questo dono per risentimento e cocciutaggine... beh, sarebbe un grave affronto ai meno fortunati.»

«Perciò io ti dico: al diavolo Alzur e la sua visione. E pure i tuoi fratelli caduti. La faccenda riguarda solo te. Prendi le redini del tuo destino e plasma il tuo futuro al meglio, prima che sia troppo tardi. Perché tu, Madoc, ti puoi permettere il lusso di farlo.»

Il witcher si piegò in avanti, riflettendo su quelle parole.

Galanthea tese la mano con il palmo rivolto verso l'alto, poi guardò in su. «Sarà meglio che tu finisca la tua buca.» Come dal nulla, nubi grigie si erano assembrate nel cielo che prima era terso. Cominciò a piovere. «Qualcosa mi dice che non c'è molto tempo...»


Capitolo 12


Il locandiere caracollò fuori dalla porta principale e cadde in ginocchio nel fango, con le braccia aperte rivolte al cielo. «È un miracolo!» Chiuse gli occhi e sorrise, godendosi la pioggia leggera. «Quanti anni di sofferenze, quanti...» Un pensiero gli attraversò la mente, e subito balzò in piedi e corse dentro. Qualche attimo dopo, riapparve seguito dall'halfling e dal nano, tutti carichi di casseruole e padelle di rame.

Madoc e Galanthea, che erano ancora seduti sulla vicina collinetta, sorrisero all'unisono alla vista di quella frenetica raccolta di acqua piovana nelle piccole cisterne improvvisate.

Il witcher rivolse lo sguardo al cielo. Osservò le nuvole con diffidenza mentre si spostavano in lontananza partendo da un singolo punto. "Strano", pensò, accigliandosi. Si grattò il mento irsuto e inclinò il capo. «Alzur...»

«Già...» disse Galanthea dopo un breve istante.

Madoc scansò il pensiero e dirottò la conversazione su un altro argomento. «Come... come ha spezzato la tua maledizione? Alla fine non ce l'hai più raccontato.»

Galanthea rimuginò sulla domanda, poi sospirò. «Questo, mio caro, te lo dirò un'altra volta. È una storia che non amo particolarmente.»

Il witcher aggrottò le sopracciglia.

Poi lei sorrise. «Mettiamola così: a volte la vita non ti concede buone scelte. Niente strade spianate verso il sollievo. Ma prima o poi bisogna decidere qualcosa... e affrontarne le conseguenze. Indipendentemente da quali siano. Tienilo bene a mente, witcher: le conseguenze, se ignorate, poi si accumulano. Alla fine, se ne sconta sempre il prezzo, in un modo o nell'altro.» Spostò lo sguardo su alcuni dei suoi compagni viandanti, intenti a danzare lieti sotto la pioggia, fuori dalla locanda. «Pochi di noi affrontano la vita senza macchia, Madoc. E chi intende farlo, spesso muore giovane. Il meglio che possiamo fare è provare a trovare un equilibrio prima di esalare l'ultimo respiro.»

Il witcher sbuffò. «La vita è un debito.»

«Esatto.»

Il clamore delle celebrazioni fu improvvisamente interrotto da un boato assordante.

WOOOHHHRRR!

BAM!

Lampi di luce accecante, verdi e rossi, illuminarono il paesaggio.

Madoc si alzò in piedi e fece correre lo sguardo sui campi all'orizzonte, dove la cima delle mura di una lontana città di Maribor lambiva la linea delle piane appena bagnate. «Che sta facendo?»

Più in alto, le voluminose nuvole si agitavano nel cielo in modo innaturale, facendosi sempre più scure mentre si spostavano dalla capitale.

All'improvviso, un fulmine saettò nel cielo, seguito da un rombo di tuono minaccioso. La pioggia da leggera divenne torrenziale, e la brezza si trasformò in un vento sferzante. In lontananza, le nubi nere turbinavano furiose, e avevano dato origine a un cerchio con un buco verso il cielo. Sinuose fenditure di luce pulsante correvano verso l'esterno dell'occhio del ciclone in espansione, proiettando uno spettro di vivaci colori che danzavano sull'orizzonte.

Galanthea e Madoc si unirono ai viandanti che si erano radunati al crocevia per guardare il lontano caos temporalesco.

«Oh no, oh no», mormorò l'halfling tra sé e sé. «Oh cielo.»

«È un portale!» gridò il nano sopra il suono della pioggia battente. «Come a Ellander!»

«Maledizione!» imprecò il soldato impallidendo con gli occhi sgranati carichi d'incredulità. «Non può essere...»

Dal centro del lontano ciclone, un'enorme e orripilante essere uscì fuori dal portale con movimenti serpeggianti. Il suo corpo gigante e oblungo, costellato di arti uncinati, si contorceva nel cielo, scendendo verso la città di Maribor.

La terra tremò quando la terribile mostruosità si abbatté sulle malcapitate case.

Il varco si chiuse all'improvviso, e i raggi luminosi cessarono. Rimanevano solo le nubi nere, il paesaggio annerito e la sagoma scura di un mostro colossale illuminata dal baluginare irregolare dei fulmini. Ogni lampo rivelava un accenno del gigantesco millepiedi che scatenava il caos sulla città. Le sue immense mandibole scattavano con violenza, mentre il lungo corpo demoliva torri e palazzi, riducendoli in macerie.

"Maledizione", pensò Madoc. "Maledizione e stramaledizione."

Guardò Galanthea, aggrottando le sopracciglia per la pioggia. I grandi occhi castani di lei, placidi e profondi, lo esortavano. «Vai» gli disse. «Ha bisogno del tuo aiuto... come tutti noi.»

Senza esitazione, Madoc si precipitò al suo cavallo e montò in sella. Mentre afferrava le redini, rivolse un ultimo sguardo a coloro che aveva salvato. L'halfling si stava facendo scudo dalla pioggia con una padella. Il nano era intento a blaterare qualcosa, spaesato sotto l'acqua sempre più fitta. Il soldato, aggrappandosi al locandiere per non perdere l'equilibrio, scuoteva la testa da parte a parte, abbattuto. Galanthea, con gli occhi mesti che tradivano la sua paura, sorrise speranzosa verso il witcher e annuì con gratitudine.

Madoc ricambiò il gesto, poi diresse il suo destriero verso la strada, lo spronò e incedette al galoppo alla volta di Maribor. Verso l'oscurità. Verso il mostro che tutto consumava. Verso la carneficina totale. Verso distruzione, morte e caos incarnato.

Cavalcava verso il suo creatore.

Verso il proprio destino.



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